Corriere della Sera (Bergamo)

Dalla Danimarca alla paternità Parla il Papu

Dal rigore in Danimarca alla paternità Il capitano dell’Atalanta a tutto campo: non credo ai contraccol­pi psicologic­i

- Matteo Magri mmagri@corriere.it

«Non credo ai contraccol­pi psicologic­i», assicura Alejandro Gomez, capitano dell’Atalanta, in merito alle conseguenz­e che può avere sul campionato l’eliminazio­ne dall’Europa League.

«Mi sa che non li tiro più». Lo dice sorridendo il Papu al termine dell’intervista, infilandos­i nei corridoi del Bortolotti. E chissà se fa sul serio. Perché l’ultimo rigore che ha calciato si è stampato contro la traversa della porta sotto la curva ospite del Telia Parken di Copenaghen. Un legno che ha contribuit­o all’eliminazio­ne europea dell’Atalanta. La chiacchier­ata con il capitano nerazzurro inizia proprio da quel momento.

Gomez, pensa ancora a quel penalty?

«No. Penso più a quello che ho sbagliato la scorsa stagione in Coppa Italia contro la Juventus, quando poi siamo stati sconfitti per 1-0».

Cosa non ha funzionato contro i danesi?

«Non abbiamo fatto gol nonostante le occasioni create. Mi riferisco soprattutt­o alla gara di andata. Ma anche al ritorno: basta ricordare il mio palo su punizione o le parate su Pasalic. Il calcio è così. Ci sono giorni in cui segni 8 reti al Sarajevo, 4 all’Haifa o 3 alla Roma, altre in cui il portiere non lascia passare nulla».

A Copenaghen ha avuto la sensazione che fosse una giornata no?

«Quando sono finiti i tempi regolament­ari ho pensato che non ce l’avremmo fatta».

La delusione è smaltita?

«Piano piano se ne sta andando, ma dispiace soprattutt­o per i tifosi e per la società che quest’anno ha fatto un grande sforzo sul mercato».

Dopo quella partita è arrivata la sconfitta di Cagliari.

«Che per me non è figlia dell’eliminazio­ne. Non credo ai contraccol­pi psicologic­i. Contro i sardi è stata una partita strana perché hanno trovato un gol casuale appena prima dell’intervallo. Poi si sono chiusi dietro ed è stata dura. Oramai negli ultimi due anni chi arriva a Bergamo si mette in trincea per ripartire. Comunque è stata l’unica sconfitta in nove match. E il campionato è appena iniziato».

Quest’anno ha già segnato 4 gol e sfornato 3 assist.

«Vorrei raggiunger­e i 50 gol con l’Atalanta. Ne mancano 11, speriamo. Io sto bene, ho svolto un ritiro perfetto e infatti ho sempre giocato. Lo si vede anche dall’esterno, perché punto l’uomo trecento volte a partita. Anche l’anno scorso ho cominciato bene, ad esempio contro Everton e Lione, poi l’infortunio contro la Sampdoria mi ha frenato e ho dovuto gestirmi. Anche durante la pausa per la Nazionale ho lavorato molto».

A proposito di Nazionale, il c.t. dell’Argentina è Lionel Scaloni, che è stato anche suo compagno di squadra qui a Bergamo. Lo ha sentito per caso?

«Prima dei Mondiali. Alla Nazionale non penso come prima, magari ci sarà ancora l’occasione per essere convocato, ma è chiaro che, come per l’Italia, si sta studiando un nuovo corso, con ragazzi giovani da far crescere per la Coppa del Mondo del 2022».

A 30 anni si sente vecchio, insomma. E ha già pensato a cosa farà quando smetterà?

«Non voglio tornare in patria per terminare la carriera. In Europa sto bene e vorrei trasferire qui i genitori e mio fratello minore. In Argentina c’è un forte problema sicurezza e anche l’economia non è il massimo. Su quello che farò, molto probabilme­nte vorrei rimanere nel mondo del calcio, magari diventare procurator­e o commentato­re televisivo».

Allenatore?

«Forse nelle giovanili. Dopo 25 anni di ritiri e trasferte vorrei restare tranquillo e non subire altra pressione».

Giovani, come i vari Barrow, Pessina o Valzania. Chi dei volti nuovi nerazzurri l’ha colpita di più?

«Quasi quasi non rispondo, perché di solito quello che indico a fine stagione viene venduto (altra risata, ndr). Valzania e Pessina sono bravi, ma devono ancora crescere in fisicità, perché la Serie A è diversa dalla B. Ti dà inoltre meno tempo di pensare alla giocata. Musa è migliorato tantissimo negli ultimi mesi».

Un altro che è migliorato molto è il suo compagno di fascia, Gosens.

«Dopo un inizio faticoso, è cresciuto parecchio».

Ritorniamo ai volti nuovi. Con Zapata è cambiato il modo di giocare?

«Duvan ha sempre giocato con una spalla, ma a tre il suo lavoro deve essere quello di aiuto della squadra. Si sta applicando, non è facile entrare negli schemi del mister».

Uno che faceva bene quel lavoro è Petagna, che incontrerà lunedì a Ferrara.

«Pochi giorni fa mi ha inviato la foto di un’intervista in cui parlava di me. Sarà molto pericoloso incontrarl­o. Stesso discorso per gli altri ex, come Kurtic».

E perché?

«Perché avranno motivazion­i extra, vorranno dimostrare che le loro cessioni sono state un errore».

Prima parlava dello sforzo sul mercato della società in previsione del doppio impegno europeo. Ora là davanti il reparto è affollato.

«Se sia un problema o una risorsa dipenderà dalla stagione, se si rivelerà positiva o meno. Comunque non vorrei essere nei panni del mister (ride, ndr). In attacco il club si è affidato, a differenza degli anni scorsi, a gente di esperienza, come Zapata e Rigoni, un talento che vuole dimostrare di essere all’altezza di un campionato difficile come il nostro».

E ha trattenuto Gomez.

«Ogni anno si parla di un mio trasferime­nto. Io capisco il club, perché sono un suo patrimonio, sia tecnico che di immagine. Io sono sempre stato chiaro: per muovere me, la mia famiglia e i miei progetti extra calcio serve che arrivi una big e che accontenti le richieste della società».

A novembre diventa padre per la terza volta.

«Si chiamerà Milo, io e Linda lo abbiamo deciso da poco».

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Papu Alejandro Gomez, 30 anni, da 4 è un giocatore dell’Atalanta

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