Dalla Danimarca alla paternità Parla il Papu
Dal rigore in Danimarca alla paternità Il capitano dell’Atalanta a tutto campo: non credo ai contraccolpi psicologici
«Non credo ai contraccolpi psicologici», assicura Alejandro Gomez, capitano dell’Atalanta, in merito alle conseguenze che può avere sul campionato l’eliminazione dall’Europa League.
«Mi sa che non li tiro più». Lo dice sorridendo il Papu al termine dell’intervista, infilandosi nei corridoi del Bortolotti. E chissà se fa sul serio. Perché l’ultimo rigore che ha calciato si è stampato contro la traversa della porta sotto la curva ospite del Telia Parken di Copenaghen. Un legno che ha contribuito all’eliminazione europea dell’Atalanta. La chiacchierata con il capitano nerazzurro inizia proprio da quel momento.
Gomez, pensa ancora a quel penalty?
«No. Penso più a quello che ho sbagliato la scorsa stagione in Coppa Italia contro la Juventus, quando poi siamo stati sconfitti per 1-0».
Cosa non ha funzionato contro i danesi?
«Non abbiamo fatto gol nonostante le occasioni create. Mi riferisco soprattutto alla gara di andata. Ma anche al ritorno: basta ricordare il mio palo su punizione o le parate su Pasalic. Il calcio è così. Ci sono giorni in cui segni 8 reti al Sarajevo, 4 all’Haifa o 3 alla Roma, altre in cui il portiere non lascia passare nulla».
A Copenaghen ha avuto la sensazione che fosse una giornata no?
«Quando sono finiti i tempi regolamentari ho pensato che non ce l’avremmo fatta».
La delusione è smaltita?
«Piano piano se ne sta andando, ma dispiace soprattutto per i tifosi e per la società che quest’anno ha fatto un grande sforzo sul mercato».
Dopo quella partita è arrivata la sconfitta di Cagliari.
«Che per me non è figlia dell’eliminazione. Non credo ai contraccolpi psicologici. Contro i sardi è stata una partita strana perché hanno trovato un gol casuale appena prima dell’intervallo. Poi si sono chiusi dietro ed è stata dura. Oramai negli ultimi due anni chi arriva a Bergamo si mette in trincea per ripartire. Comunque è stata l’unica sconfitta in nove match. E il campionato è appena iniziato».
Quest’anno ha già segnato 4 gol e sfornato 3 assist.
«Vorrei raggiungere i 50 gol con l’Atalanta. Ne mancano 11, speriamo. Io sto bene, ho svolto un ritiro perfetto e infatti ho sempre giocato. Lo si vede anche dall’esterno, perché punto l’uomo trecento volte a partita. Anche l’anno scorso ho cominciato bene, ad esempio contro Everton e Lione, poi l’infortunio contro la Sampdoria mi ha frenato e ho dovuto gestirmi. Anche durante la pausa per la Nazionale ho lavorato molto».
A proposito di Nazionale, il c.t. dell’Argentina è Lionel Scaloni, che è stato anche suo compagno di squadra qui a Bergamo. Lo ha sentito per caso?
«Prima dei Mondiali. Alla Nazionale non penso come prima, magari ci sarà ancora l’occasione per essere convocato, ma è chiaro che, come per l’Italia, si sta studiando un nuovo corso, con ragazzi giovani da far crescere per la Coppa del Mondo del 2022».
A 30 anni si sente vecchio, insomma. E ha già pensato a cosa farà quando smetterà?
«Non voglio tornare in patria per terminare la carriera. In Europa sto bene e vorrei trasferire qui i genitori e mio fratello minore. In Argentina c’è un forte problema sicurezza e anche l’economia non è il massimo. Su quello che farò, molto probabilmente vorrei rimanere nel mondo del calcio, magari diventare procuratore o commentatore televisivo».
Allenatore?
«Forse nelle giovanili. Dopo 25 anni di ritiri e trasferte vorrei restare tranquillo e non subire altra pressione».
Giovani, come i vari Barrow, Pessina o Valzania. Chi dei volti nuovi nerazzurri l’ha colpita di più?
«Quasi quasi non rispondo, perché di solito quello che indico a fine stagione viene venduto (altra risata, ndr). Valzania e Pessina sono bravi, ma devono ancora crescere in fisicità, perché la Serie A è diversa dalla B. Ti dà inoltre meno tempo di pensare alla giocata. Musa è migliorato tantissimo negli ultimi mesi».
Un altro che è migliorato molto è il suo compagno di fascia, Gosens.
«Dopo un inizio faticoso, è cresciuto parecchio».
Ritorniamo ai volti nuovi. Con Zapata è cambiato il modo di giocare?
«Duvan ha sempre giocato con una spalla, ma a tre il suo lavoro deve essere quello di aiuto della squadra. Si sta applicando, non è facile entrare negli schemi del mister».
Uno che faceva bene quel lavoro è Petagna, che incontrerà lunedì a Ferrara.
«Pochi giorni fa mi ha inviato la foto di un’intervista in cui parlava di me. Sarà molto pericoloso incontrarlo. Stesso discorso per gli altri ex, come Kurtic».
E perché?
«Perché avranno motivazioni extra, vorranno dimostrare che le loro cessioni sono state un errore».
Prima parlava dello sforzo sul mercato della società in previsione del doppio impegno europeo. Ora là davanti il reparto è affollato.
«Se sia un problema o una risorsa dipenderà dalla stagione, se si rivelerà positiva o meno. Comunque non vorrei essere nei panni del mister (ride, ndr). In attacco il club si è affidato, a differenza degli anni scorsi, a gente di esperienza, come Zapata e Rigoni, un talento che vuole dimostrare di essere all’altezza di un campionato difficile come il nostro».
E ha trattenuto Gomez.
«Ogni anno si parla di un mio trasferimento. Io capisco il club, perché sono un suo patrimonio, sia tecnico che di immagine. Io sono sempre stato chiaro: per muovere me, la mia famiglia e i miei progetti extra calcio serve che arrivi una big e che accontenti le richieste della società».
A novembre diventa padre per la terza volta.
«Si chiamerà Milo, io e Linda lo abbiamo deciso da poco».