Corriere della Sera (Bergamo)

Zanetti, il dialetto con l’arte dei poeti

Grande innamorato della cultura (e della terra) bergamasca, è morto all’età di 76 anni

- Di Daniela Morandi

«Opoesie, che ü dé sarì salvade / da la pólver del tép e di scafài /coi paròle uramai desmentega­de, / turnerì da la cua fina al bandài / per cantà co la ùs d’ògne poéta. / L’öltem dialèt issé l’ mörerà mai. / La nòsta sènder la gh’à ü bóf de éta». È la poesia-testamento di Umberto Zanetti, uomo di cultura, grande cantore di Bergamo, morto l’altra notte al Papa Giovanni. Aveva 76 anni.

«Stì sö franch», diceva in segno di saluto. Un augurio a «star bene». Sembra di vederlo ancora nel gesto di congedo, sorridente, tra gli amati libri, fogli e dischi impilati nel suo studio, mentre è vestito di tutto punto con immancabil­e farfallino. Il poeta Umberto Zanetti, portavoce del dialetto bergamasco come lingua nobile, era uomo colto, signorile, dalla battuta arguta. Come si legge nei suoi versi. «Aveva una scorta di umorismo unica», dice con dolcezza la moglie Rosi Damiani, ricordando il marito, venuto a mancare per malattia l’altra notte. I funerali si terranno lunedì alle 10 nella parrocchia di Sant’Anna. «Era vitale nella letteratur­a e ha sempre dato, senza volere nessun tornaconto. Erano gli altri a cercarlo per i suoi scritti. Aveva una creatività incredibil­e e quando gli chiedevano qualche intervento per convegni o pubblicazi­oni preparava tutto con mesi d’anticipo», continua la consorte, mostrando alcune sue raccolte di poesie in dialetto, l’edizione limitata di «Ol Principì», versione in bergamasco de «Il Piccolo Principe» pubblicata per una piccola casa editrice tedesca o quella del Vangelo di San Giovanni.

Amava scrivere e studiare Zanetti, in compagnia dell’amata musica classica. Tra i pezzi preferiti la Messa da Requiem di Verdi. «L’avrebbe voluta per il suo funerale, ma è troppo complessa», svela il figlio Cesare, violinista. «È stato mio padre a indirizzar­mi alla musica — continua —. Era un appassiona­to del belcanto. Me lo ricordo nello studio a scrivere e studiare ascoltando classica. Quando andò in pensione (era direttore della Casa di riposo alla Clementina, ndr) era felice, finalmente poteva dedicarsi alle sue passioni». La tradizione bergamasca e il dialetto, imparato giocando con i coetanei in Città Alta. In casa Umberto Zanetti non lo parlava. Suo padre era un militare di carriera, la madre mantovana, che ai figli e al marito si rivolgeva in italiano. Così dall’età di vent’anni annotava proverbi e modi di dire raccoglien­doli in presa diretta. Ha riempito i cassetti di casa di carte, che la famiglia ora vorrebbe riordinare. «Ha scritto talmente tanto», aggiunge il figlio.

«Ol poéta Ümbèrto Zanèt» ha un curriculum molto lungo: poeta, prosatore e saggista, autore di una sessantina di opere monografic­he, fra cui libri d’arte, saggi storici, studi sulla cultura popolare e sillogi di liriche in bergamasco. Ospite di numerose conferenze e letture di versi in sedi universita­rie, sodalizi letterari, stazioni radiofonic­he e televisive, era una figura di riferiment­o per il suo sapere, che intrecciav­a il dialetto e il latino.

Vicepresid­ente del Cenacolo Orobico di Poesia, dal 1981 fu accademico dell’Ateneo , di cui diresse la classe di Lettere ed Arti dal 1989 al 2012, anno in cui è stato eletto vicepresid­ente. «Era una presenza costante — ricorda Maria Mencaroni Zoppetti, presidente dell’Ateneo — e rispettosa dell’istituzion­e. Era dispiaciut­o che l’Ateneo fosse al centro di polemiche che ne rendevano incerto il futuro, tanto da scriverne articoli in difesa. Il suo sentire era a tutela dell’identità culturale della lingua bergamasca, studiata e di cui pubblicò molto. Era attento ai cambiament­i della società, urtato per la perdita di rispetto verso le tradizioni, e studioso incessante. Aveva preparato due interventi che ci avrebbe dato per il progetto sul ventennio 1919 – 1939, e ci diede anche una foto della sua famiglia che viveva in Libia in tempo fascista, essendo suo padre un militare. Aveva un atteggiame­nto tanto positivo che quando a fine luglio lo salutammo ci disse arrivederc­i con battute ironiche. Molte, tanto che gli dissi di smettere, ma lui ribatté che bisognava ridere». Socio del Centro di Studi Tassiani, benemerito del comitato bergamasco della Società Dante Alighieri, era anche membro del consiglio d’amministra­zione dell’Accademia Carrara e della commission­e dell’Angelo Mai, per la quale ha scritto uno studio sul frate umiliato Benedetto Colleoni, in uscita con il prossimo numero di «Bergomum», rivista della biblioteca. «Era un uomo elegante, sorridente e rispettoso — dice Elisabetta Manca, direttrice della Mai —. Mi ricorderò sempre una frase che mi disse dopo una conferenza, in cui mi arrabbiai per aver sentito cose inaudite. Mi disse: ”Se non si ha cultura, che almeno se ne abbia rispetto”. Riusai spesso queste parole, sintesi della sua persona».

Si stringe al cordoglio familiare anche Maria Cristina Rodeschini della Carrara, ricordando i contributi puntuali a favore del museo e la sua grande onestà. Dispiaciut­o anche il rettore Remo Morzenti Pellegrini, per cui «la sua mancanza impoverisc­e il territorio. Era l’espression­e dell’identità della cultura locale».

Insignito della medaglia d’oro per meriti civici e culturali dalla Camera di Commercio e dal Comune, nominato Commendato­re della Repubblica, difendeva il dialetto come «una lingua fatta e finita — dice Mario Morotti, Duca di Piazza Pontida —. Diceva che ol Bergamàsch l’è öna lèngua facia e finida, che la salta fò drécia del Latì, compàgn del Català, del Portoghés, del Sardegnöl. Con lui viene a mancare l’ultima pietra miliare del dialetto, dopo Carmelo Francia e Vittorio Mora. Bergamo, non solo il Ducato, perde una persona d’alto profilo. Resterà immortale grazie ai suoi scritti».

Un soffio di vita, come Zanetti scrisse in «Öltem dialèt», suo «testamento poetico» del 1978, che riportiamo qui accanto in versione originale e di cui traduciamo le ultime strofe: «O poesie, che un giorno sarete salvate dalla polvere del tempo e degli scaffali come le parole ormai dimenticat­e, ritorneret­e dalla coda fino al bandolo per cantare con la voce di ogni poeta. L’ultimo dialetto così non morirà mai. La nostra cenere ha un soffio di vita».

 ??  ?? Studioso Umberto Zanetti, storico, saggista e poeta dialettale, è morto al Papa Giovanni. Commendato­re della Repubblica, aveva 76 anni
Studioso Umberto Zanetti, storico, saggista e poeta dialettale, è morto al Papa Giovanni. Commendato­re della Repubblica, aveva 76 anni
 ??  ?? Saggista Umberto Zanetti, poeta, prosatore, saggista, autore d’arte e di tradizioni popolari, è morto l’altra notte, dopo una breve malattia, all’ospedale Papa Giovanni. Lascia la moglie Rosi e due figli, Cesare e Beatrice. Il funerale sarà celebrato lunedì alle ore 10 nella parrocchia di Sant’Anna
Saggista Umberto Zanetti, poeta, prosatore, saggista, autore d’arte e di tradizioni popolari, è morto l’altra notte, dopo una breve malattia, all’ospedale Papa Giovanni. Lascia la moglie Rosi e due figli, Cesare e Beatrice. Il funerale sarà celebrato lunedì alle ore 10 nella parrocchia di Sant’Anna

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