«Grande truffa sui fondi per la moschea»
In aula parla l’ex direttore della fondazione
«È una grande truffa, non si gioca con i fondi dei donatori». Al processo per 5 milioni del Qatar destinati alla nuova moschea, 5 ore di testimonianza dell’ex direttore della sede londinese della fondazione.
Al processo per truffa, per la nuova moschea con i cinque milioni donati dal Qatar, i nodi principali sono due. Uno, l’ha sollevato il pm Carmen Pugliese: «Che cosa cambiava realizzarla in via Santi Maurizio e Fermo anziché in via Baioni?». Il secondo, l’avvocato Perla Sciretti che difende Imad El Joulani, l’ex presidente del Centro culturale islamico di via Cenisio, imputato di aver dirottato il denaro destinato al Centro sulla sua associazione Comunità islamica di Bergamo, e di aver acquistato il nuovo stabile all’insaputa dei finanziatori: «Dove è l’errore, se c’è stato?». Ayyoub Abouliaqin, in cinque ore di testimonianza sollecitato dall’avvocato Paolo Maestroni per il Centro islamico ora presieduto da Mohamed Saleh, ha sciolto il primo. Ingegnere, è arrivato dal Qatar lunedì sera. Fino a febbraio, per cinque anni è stato il direttore della sede londinese della Qatar Charity Foundation che ha inviato il denaro per il nuovo centro islamico, oltre che il responsabile dei progetti in Europa. La differenza tra le due sedi per lui è semplice: «La fondazione presenta il progetto ai donatori che poi lo finanziano. Il denaro è vincolato a quel progetto e al quel destinatario specifici». A fine 2012 venne a Bergamo per un sopralluogo. La proposta di El Joulani, allora presidente del Centro di via Cenisio, aveva un indirizzo preciso: «Via Baioni 44. Il progetto prevedeva una sala per la preghiera, una scuola di Corano e spazi per le attività dei giovani». I soldi partirono dal Qatar per Bergamo passando per l’Unione delle Comunità islamiche d’Italia (Ucoii), in più bonifici, dall’inizio del 2013 al maggio del 2014. «Ma a giugno o luglio 2014 El Joulani, all’inaugurazione di un centro culturale a Copenaghen, disse che le carte per l’acquisto di via Baioni non erano complete e che era stato costretto a firmare per un altro progetto, migliore e meno caro». Via Santi Maurizio e Fermo. Abouliaqin parla di due «choc». Il secondo, quando si scoprì che il denaro era arrivato sul conto dell’associazione Comunità islamica. Secondo l’accusa fu un magheggio giocando sull’assonanza con Centro islamico. «La fondazione mi disse di andare a vedere se esisteva davvero l’altro progetto. Venni a Bergamo quattro o cinque volte. Mi colpì che El Joulani si presentasse con il figlio, il padre o la moglie. Ogni volta inventava una storia diversa per allontanarci dalla verità. Alla fine, i fondi erano finiti a un’associazione familiare». Il problema fondamentale rimaneva uno: «Bisognava spiegare ai donatori che i soldi non erano finiti nel progetto per cui li avevano dati. Noi diciamo che è stata una grande truffa. Non possiamo giocare con i fondi dei donatori».
Il quesito dell’avvocato Sciretti resta invece aperto: «L’Ucoii conosceva bene El Joulani (era vice presidente dell’Unione), perché rimase sorpreso?». L’ingegnere sa che i fondi partirono dal Qatar per l’Ucoii, il via libera, dice, «era gestito dall’amministrazione in Qatar». Che fine faranno i 2,5 milioni sequestrati a El Joulani (gli altri sono stati usati per comprare lo stabile) lo deciderà il processo. Se la fondazione sarà ancora disponibile su Bergamo è da vedere. Su oltre 100 progetti in tutto il mondo, questo è l’unico finito in tribunale.
Unico progetto fallito Il Qatar ne ha sostenuti più di cento in tutto il mondo: a Bergamo è il solo finito in tribunale