Rogo di Foppolo La Procura vuole altri Dna
Nuova fase di interrogatori e prelievi in valle
Gli inquirenti del caso Foppolo tentano di chiudere il cerchio sul rogo doloso alle seggiovie dell’8 luglio 2016. Nuovi prelievi volontari di Dna e impronte digitali sono stati disposti dal pm Gianluigi Dettori e saranno eseguiti dai carabinieri di Zogno. Alla presenza della Guardia di finanza sono stati inoltre convocati in Procura la moglie dell’ex sindaco Giuseppe Berera, Roberta Valota, e l’amministratore della Devil Peak Giacomo Martignon. La prima ha scelto il silenzio (è indagata), l’imprenditore, nella veste di testimone, ha invece risposto per circa due ore alle domande degli inquirenti. La mattina dell’incendio, davanti agli impianti carbonizzati, erano stati sequestrati stracci imbevuti di benzina, bottiglie di plastica, taniche, una bombola di gpl e un paio di inneschi rimasti inesplosi. Uno, in particolare, era formato da due scatole di fiammiferi con due mozziconi da cui è stato estrapolato il materiale biologico per le comparazioni.
Bisogna fare un salto all’indietro di un bel po’ di tempo, informative e cronache di giornale. È la mattina dell’8 luglio 2016 quando il sindaco di Foppolo Giuseppe Berera chiama i carabinieri di Branzi per un incendio alle seggiovie. I quadri elettrici all’arrivo della Quarta Baita e alla partenza della Montebello sono distrutti. Lui era stato avvisato a sua volta da un parente e si era fatto poi dare le prime indicazioni da un paio di operai spediti sul luogo del disastro. È l’inizio dell’inchiesta Foppolo, che ha scoperchiato un calderone di reati, in parte ammessi, in parte ridimensionati, in parte negati dai vari indagati. Associazione a delinquere, truffa, bancarotta. Tangenti e peculato. Un malaffare che sarebbe ruotato, nei dieci anni di vita della Brembo Super Ski (Bss), attorno alla stazione sciistica e alla figura di Berera. Martedì, la Cassazione deciderà se rimandarlo in carcere.
Quell’8 luglio anche un bambino avrebbe capito che le fiamme erano state appiccate volutamente. I carabinieri di Zogno, coordinati dal pm Gianluigi Dettori, in questi giorni si stanno muovendo per convocare alcune persone dell’Alta Val Brembana da sottoporre al prelievo volontario di Dna e impronte digitali. Una mossa decisa subito dopo gli ultimi interrogatori, martedì, della moglie di Berera Roberta Valota, anche ex dipendente di Bss e di Devil Peak, e dell’imprenditore Giacomo Martignon. La prima si è presentata con l’avvocato Andrea Pezzotta e si è avvalsa della facoltà di non rispondere. Può farlo, da indagata. Martignon, amministratore della Devil Peak, la società che attraverso la partecipata Foppolo Risorse ha costruito il Belmont, era invece nella veste di testimone. Nello stralcio di indagine sulla corruzione, il suo nome era stato tirato in ballo sulla presunta mazzetta da 480 mila euro per sbloccare il Piano di governo di territorio in Provincia e favorire i vari impresari che orbitavano attorno agli impianti. Secondo Berera, sentito in interrogatorio, Martignon si sarebbe prestato a cedere il sottosuolo del Belmont a Battista Vistalli, un’operazione per mascherare la tangente. «Era stato fatto un atto notarile, che non firmai io — precisa l’imprenditore veneto —. In ogni caso, ci sono e-mail e carte che documentano ogni passaggio di quella vendita». Quanto al colloquio di due ore in Procura con pm, carabinieri e Guardia di finanza: «Nulla di nuovo — è tranquillo Martignon —, ho parlato più volte con gli inquirenti e con lo stesso pm. Su alcune vicende Devil Peak è parte lesa, su altre siamo testimoni». Piani per il rilancio di Foppolo sulla scia della scorsa stagione? «In questa fase è difficile programmare. Porteremo avanti quanto avviato, ma prima di mettere altra carne al fuoco vediamo come si risolvono alcune situazioni». Come il credito che la società ha preteso dal Comune sulle seggiovie. Che piega prenderà dipende dalla decisione che la Corte dei Conti dovrebbe comunicare entro questo mese sull’ipotesi dissesto. Massimo Moretti, comunque, c’è. «Con Devil Peak — prosegue Martignon — siamo soci al 50% in Belmont House Srl, che ha comprato l’hotel per 6 milioni di euro il 12 luglio. Il capitale versato è di 2 milioni».
L’incendio. Il nuovo slancio investigativo fa capire che anche su questo fronte il pm vorrebbe chiudere il cerchio. Quanto sia vicino dal farlo è un altro paio di maniche. Attorno agli impianti carbonizzati i carabinieri avevano sequestrato vario materiale: bottiglie di plastica e stracci imbevuti di benzina, taniche, una bombola di gpl e un paio di inneschi rudimentali che avevano fatto cilecca. Uno, in particolare, è stato analizzato. Era costituito da due scatole di fiammiferi minerva con i segni zodiacali della bilancia e del cancro e un paio di mozziconi di Davidoff infilati all’interno,
L’imprenditore «La vendita sospetta a Vistalli? Non firmai io ma nulla di illecito dietro all’operazione»
ed era stato sistemato sotto una scatola di cartone impregnata di liquido infiammabile all’ingresso della Montebello. Dai mozziconi è stato estrapolato il materiale biologico per le comparazioni del Dna, a dicembre 2016 prelevato a operai, creditori della Bss e altri operatori della stazione. Da una tanica, il Ris era risalito invece alla traccia piuttosto nitida di un’impronta, forse la firma del piromane.