«La lettera di Galileo “nascosta” nel catalogo online»
Salvatore Ricciardo, grazie a un progetto dell’UniBg, ha trovato a Londra le sette pagine manoscritte della missiva «eretica»
«Ho sospettato che fosse una delle copie già in circolazione, ma ho pensato di dargli un’occhiata»: Salvatore Ricciardo, ricercatore dell’Università di Bergamo (dottorato in Antropologia e Epistemologia) racconta il momento del 2 agosto in cui, alla Royal Society di Londra, ha chiesto di visionare la lettera, individuata nel catalogo online, che poi si è rivelata originale: è la missiva scritta che costò a Galileo Galilei il marchio di eretico. «Un testo privato, ma in realtà una lettera-manifesto del suo pensiero», secondo il professor Franco Giudice.
“21 X bre” è stato letto per secoli come 21 ottobre, ma in realtà la X sta per decies, quindi dicembre. Forse per questo non ha mai interessato troppo gli studiosi Franco Giudice professore
Ho avuto subito il sospetto che non si trattasse di una delle copie già conosciute ma non mi sono subito reso conto della scoperta Salvatore Ricciardo ricercatore
La conferma «Ci siamo resi conto dell’autenticità del manoscritto dalle perizie grafologiche»
Èil 2 agosto. Quando mezza Italia sta pensando alle ferie, Salvatore Ricciardo, 40 anni, da Legnano, laurea in filosofia all’università di Milano, è a Londra. Vacanza? No, lavoro. Assegnista di ricerca per l’ateneo bergamasco (dove ha conseguito il dottorato in Antropologia ed Epistemologia), sta scandagliando diverse biblioteche della City. È a caccia di documenti. L’università di Bergamo, nell’ambito di un progetto di ricerca di interesse nazionale sull’eredità di Galileo e la diffusione delle sue opere tra il XVI e XIX secolo, ha in carico un segmento di approfondimento sulla diffusione delle teorie dello scienziato italiano nell’Inghilterra del 1600.
Ricciardo, specializzato proprio in Storia della Scienza nell’Inghilterra del ‘600 (Robert Boyle per lui non ha segreti) conosce bene la Royal Society, la più antica società scientifica inglese. La definisce senza esitazioni:«Una enorme miniera di scienza, di manoscritti e lettere». È il giorno in cui, minatore fortunato, trova la più grossa pepita d’oro della sua vita. «Mi sono seduto in una delle dieci postazioni dell’archivio e ho digitato il nome di Benedetto Castelli». Il nesso c’è. È un monaco, fisico e matematico bresciano: «huomo adornato d’ogni scienza e colmo di virtù, religione e santità», lo definisce Galileo di cui Castelli è, infatti, il collaboratore numero uno.
«L’archivio on line si apre — prosegue lo scopritore — c’è una lettera catalogata e datata 1613». «Datazione antecedente di ben 47 anni l’istiun’occhiata». tuzione della Royal Society, già quella una stranezza», evidenzia Ricciardo e con un errore d’interpretazione della data: «“21 X bre” è stato letto per secoli come 21 ottobre, ma in realtà la X sta per decies, quindi dicembre. Forse per questo non ha mai interessato troppo gli studiosi», ipotizza Franco Giudice, professore di Storia della Scienza dell’Università di Bergamo che con lo storico Michele Camerota dell’università di Cagliari ha supervisionato e studiato l’incredibile scoperta.
Ricciardo chiede di visionare la missiva che riposa da secoli nella polvere degli archivi: «Magari è una delle copie già in circolazione — mi sono detto —, diamogli La storia delle lettere di Galileo è discretamente complessa, ma in questo caso specifico si rifà ad una cena che nell’autunno del 1613 si tiene alla corte di Cosimo II. «Ho sentito dire che Galileo contesta le Sacre Scritture», afferma nel bel mezzo del convivio Cristina di Lorena, Granduchessa Madre. Il passo è quello noto: Giosuè che intima al sole di fermarsi su Gabaon. Castelli, presente alla serata, avverte Galileo che prende carta e penna indirizzandogli una lettera. «Pur essendo privata, viene pensata e scritta dallo scienziato “in totale libertà e con espressioni forti, è una sorta di lettera-manifesto del suo pensiero», chiarisce il professor Giudice.
In oltre un anno dalla sua stesura, la lettera finisce non solo nelle mani del frate domenicano Nicolò Lorini, che la fa recapitare al prefetto della Congregazione dell’Indice, ma circola in diverse copie, una dozzina in versione edulcorata. Che anche questa sia una di quelle? «Ho avuto su- bito il sospetto che non si trattasse di una delle copie già conosciute — chiarisce Ricciardo — ma non mi sono subito reso conto della scoperta».
Nessuna vertigine istantanea. Calma, raziocinio, la scienza insegna. «Mi è presa, piuttosto, una certa eccitazione». Clic, foto e scansioni. «Dalla biblioteca non esce nulla». Sono sette pagine e in calce sono siglate GG.
Ricciardo torna in Italia e prima della fine di agosto arriva la conferma. «Ci siamo resi conto dalle perizie grafologiche e dalle varianti d’autore dell’autenticità del manoscritto. La scoperta di questa lettera ci porta a rivedere l’interpretazione delle vicende che portarono alla messa all’indice del libro di Copernico e all’ammonizione di Galileo da parte del cardinale Bellarmino. Per secoli si pensò che Lorini avesse inoltrato al Sant’Uffizio una copia spuria della lettera inviata da Galileo a Castelli. In realtà l’autografo, al netto delle interpolazioni e cancellazioni, rivela che il testo della lettera inviata da Lorini ricalca l’originale stesura di Galileo. Appena posso — conclude Ricciardo — torno a Londra a riguardarmela da cima a fondo».