Nella stanza del Mantegna La ripulitura è «hi-tech»
Il restauro Radiografie, infrarossi e immagini 3D
All’Accademia Carrara è in corso il restauro «hi tech» della «La Resurrezione di Cristo» di Andrea Mantegna. Questa prima fase di ripulitura (foto) è a cura della restauratrice Delfina Fagnani. Sulla tavola, gli indizi che proverebbero come l’opera fosse un tutt’uno con «La discesa al limbo», vista alla National Gallery.
Sullo schermo del pc, la tavola si muove nello spazio in versione 3D, alternata a immagini ultravioletto, infrarossi, di radiografie e tac, che l’hanno sezionata e indagata in ogni sua parte, dal supporto ligneo ai pigmenti, dalla composizione chimica ai leganti. «La Resurrezione di Cristo» di Andrea Mantegna sta sul cavalletto, nel box allestito nella seconda sala della Carrara per osservare il restauro a vista. A vedere l’opera colpisce per delicata e composta bellezza. In questa prima fase di ripulitura, a cura della restauratrice Delfina Fagnani, abbaglia il lapislazzuli della corazza del soldato e la consistenza materica delle rocce. Parte visibile di un racconto di storia dell’arte che si sta ricomponendo, grazie agli esiti delle indagini e al confronto con «La discesa al limbo», vista dalla restauratrice e dal conservatore Giovanni Valagussa alla National Gallery, in fermento per la mostra «Mantegna and Bellini», dal primo ottobre al 26 gennaio.
«Avere visto l’altra tavola ha confermato che le due erano una sola», afferma Valagussa, scopritore della paternità del capolavoro, mentre la restauratrice mostra gli indizi che ne danno la prova. Sul verso del dipinto si intravedono gli avvallamenti causati dai chiodi, visibili nel retro e usati per la traversa che sosteneva la tavola. «Anche la Discesa al limbo ha i segni dei chiodi in posizione simmetrica e corrispondente ai quelli presenti sul nostro pannello — prosegue il conservatore —. Il che conferma la loro unione. Inoltre la posizione delle traverse è alla stessa altezza delle tavole la Morte della Vergine, conservata al Prado, e l’Ascensione di Cristo del trittico esposto agli Uffizi, il che fa supporre che appartenessero allo stesso ciclo pittorico, forse i pannelli che decoravano la cappella privata del castello di San Giorgio dei Gonzaga, a Mantova».
A riprova dell’unione anche lo stato di conservazione, con analoghe ossidazioni di colori e abrasioni. Tra le parti più abrase Fagnani indica l’aureola e le gambe del Cristo risorto. «Durante il recupero pittorico dovrò ricreare un maggiore equilibrio tra queste zone corrose e quelle integre, ricucendo il colore dove non c’è più, per ridare continuità alle pennellate, ora interrotte per la presenza di piccole lacune cromatiche», prosegue la restauratrice, illustrando gli esiti di alcune ultime indagini. Quella condotta dall’Uni- versità di Parma sui leganti, che conferma l’uso della tempera all’uovo e colla, «la tecnica preferita da Mantegna», dice Fagnani. Le immagini e fotografie a luce radente, scattate da Alessandro Bovero per mostrare i ritiri e avvallamenti dell’opera e gli spessori degli strati pittorici, che saranno usate per realizzare un video in 3D. La termografia eseguita dall’Università della Tuscia. L’indagine chimica, a cura di Stefano Volpin, ha certificato la tecnica pittorica di Mantegna e la qualità dei pigmenti: colori preziosi come lapislazzuli, minio e lacca rossa usati allo stato puro, o il blu di Prussia e orpimento, impiegati da chi dipinse il listello di sinistra, aggiunto alla tavola nel Settecento per colmare una parte tolta, forse perché mal conservata. «Anche la Discesa al limbo — conclude Valagussa —, presenta sulla sinistra un tassello aggiunto, a conferma che le tavole erano danneggiate allo stesso modo. Erano un unico». Che si ricomporrà alla National Gallery o la prossima primavera in Carrara?
Valagussa «Discesa al limbo e La resurrezione di Cristo, molti tratti in comune: sono un unico»