Corriere della Sera (Bergamo)

I sogni del piccolo grande Zurio tra valli e sorgenti

Il racconto lungo di Davide Sapienza «L’opera per me più speciale, capace di ridisegnar­e immaginazi­one e scrittura nei grandi spazi alpini»

- Davide Sapienza

Per Zurio il tempo era un mistero, una vaga idea. Del Moschel aveva sentito parlare per la prima volta da suo padre, che in quella Valle dell’Occhio, dove la grande apertura nella foresta guardava il cielo, aveva spesso trovato una quiete speciale e ogni volta che era rincasato dalle sue escursioni gli aveva indicato oltre i crinali di Bares, facendolo viaggiare con gli occhi lungo la linea di cresta dove «alla fine, oltre quella montagna lunga si trova un luogo fatto di acqua e di creature misteriose... sai Zurio, nessuno sa bene dove vivono, ma si dice che ai bambini raccontano solo la verità, perché vi riconoscon­o».

Nonostante le insistenze e le acute osservazio­ni del bambino, due anni erano passati prima che i genitori sentissero che era il momento giusto per portare Zurio a camminare verso quel luogo che, ormai, aveva assunto sembianze reali nei desideri del loro cucciolo. Zurio aveva appena compiuto 5 anni quando riuscì per la prima volta ad arrivare lassù; ma alla sua età, dirai tu, come poteva avere una simile fissazione per un posto nascosto tra le montagne, in una vallata lontana da tutto, la cui esistenza era nota a poche persone? Capisco i tuoi dubbi, ma per adesso preferirei non dare risposte e chiederti di pensare come il bambino perché vale la pena di ascoltare tutta la storia di Zurio, o almeno quella che ho conosciuto io e che mi sono incaricato di raccontare. Posso però dire che certamente lui era un bimbo molto curioso, dotato da madre natura di una me- moria speciale; aveva sempre ricevuto molto amore e tutte le persone che lo conoscevan­o avevano sempre avvertito l’impulso di fargli scoprire qualcosa di speciale. In aggiunta alla cura amorevole di genitori e parenti, queste attenzioni gli avevano fatto sviluppare una forte voglia di esplorare il suo territorio. Ma Zurio aveva anche un’altra qualità notevole, tipica dei bambini: sapeva dare tanto amore ai genitori e si preoccupav­a per gli altri.

A modo suo, il piccolo si era informato con il papà, che trascorrev­a tante giornate nel cuore della montagna dove lui era nato; gli aveva fatto tante domande e se per esempio andavano alle sorgenti della valle Rossa, immancabil­mente lui prima o poi chiedeva, «papà, ma allora là dietro c’è il Moschel?» Se attraversa­vano il bosco abitato dai cervi della valle disegnata dall’antico ghiacciaio, lui cercava di capire in che direzione sarebbero dovuti andare per arrivare al Moschel e negli ultimi mesi, vedendo le coste di Bares sempre innevate, si era preoccupat­o: «ma allora adesso il Moschel è andato via

«Zurio è un bambino di cinque anni. Il suo spirito avventuros­o e una mente pronta lo conducono nella Valle dell’Occhio dove incontra l’Uomo del Moschel, lontano dagli occhi dei genitori. Un evento che lo porterà a compiere un viaggio onirico in cui attraverse­rà la vita sino all’età edaulta.Un tributo all’immaginazi­one fanciulla con una narrazione trasversal­e che conduce nei grandi spazi di vallate, torrenti, marmitte dei giganti, passi alpini, sorgenti e l’amicizia di tre ragazzi, un tempo bambini». Così viene presentato il racconto lungo «L’uomo del Moschel» di Davide Sapienza (Bolis Edizioni, Collana Dodici per Diciotto, 90 pagine, 9,80 euro) che arriverà il libreria il 6 ottobre e di cui pubblichia­mo in questa pagina un brano.

con la neve?». E per finire, a rendere tutto più misterioso, la mamma gli aveva assicurato che il Moschel non era andato via con la bianca materia perché l’Occhio era un torrente magico, capace di non farsi sommergere dalle nevicate perché doveva portare la sua acqua proprio a loro, e che quell’acqua veniva dalla sorgente nascosta tra le rocce argentee, a quasi duemila metri di quota, capace di vedere tutto. Per questo l’avevano chiamata Occhio.

Per Zurio il Moschel era una specie di stella polare sulla quale prima o poi voleva arrivare. Poco prima della fatidica escursione famigliare il piccolo iniziò a conoscere le mappe. Era stato abituato a riconoscer­le perché nello studio di casa le aveva sempre viste in gran numero. Una, in particolar­e, era appesa alla parete e su quella il padre gli aveva disegnato un cerchio intorno alla misteriosa località. Questo affinché Zurio si sentisse libero di fargli tutte le domande che voleva, prima di andarci davvero. Per questo sapeva che sarebbero scesi a piedi verso il torrente e che si passava sotto un antico insediamen­to, per poi proseguire godendosi il suono dell’acqua fresca e limpida.

Un giorno, tornando dalla scuola materna, dove Zurio stava per completare l’ultimo anno, la mamma scoprì un nuovo disegno del Moschel che la lasciò ammirata, anche per la spiegazion­e che il figlio diede loro: «per forza mamma, l’ho disegnato perché i miei amici non conoscevan­o il Moschel e io glielo faccio vedere, ma con la strada che va lì dal nostro paese». Poiché la fantasia può tutto, nel disegno la via per il Moschel attraversa­va i crinali di fronte a casa loro. Ciò era tutto vero, perché Zurio non poteva sapere che sotto la montagna esiste una galleria per portare l’acqua dalla valle dell’Occhio ai paesi sull’altopiano in cima alla vallata glaciale.

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