LA MORTE NON TURBI
Un professore muore. Non importa il come. Ogni morte è sempre unica. Sempre sanguinosa. E spesso perfino impudica. Ma perché i suoi studenti, maggiorenni o minorenni, non devono essere subito non solo informati della triste circostanza, ma adeguatamente aiutati a riflettere sul significato che la morte ha nella vita? Può un ambiente educativo come la scuola non fare come si farebbe in ogni buona famiglia, senza affidare questa responsabilità ai cosiddetti social o al passa parola tra coetanei? Certo, è innegabile. Oggi, la morte è al confino. Molto, molto più del sesso. Per questo è celata. E, appunto, confinata nelle camere mortuarie degli ospedali, dei cronicari, dei cimiteri. Oppure è rimossa. Con il divertimento di cui parlava Pascal. Fingere che non esista, per non turbare o turbarsi. Guardando dall’altra parte, e correndo compulsivamente affaccendati, senza respiro, soste, intervalli. Di tutto, insomma, pur di non guardare in faccia, da adulti, e in pensoso silenzio, la Gorgone. Ma c’è anche la presunzione. Quella che si ha quando si pretende che le logiche della vita istituzionale prevalgano su quelle umane. Non turbare, per esempio, il regolare svolgimento delle lezioni. Ma «Tacere sulla morte. Per quanto tempo resisti?», si domandava nel 1977 Elias Canetti (Il cuore segreto dell’orologio). Già, per quanto tempo si può resistere al confino, al divertimento o alla presunzione su questa angosciante realtà che definisce però i confini di ogni vita e con la quale ciascuno è chiamato a fare i conti?