Il ritrovo dei campioni
Meneghin, Gimondi, Basso, Tortu A Varese il Cavalier Ambrosetti ha riunito i miti sportivi di ieri e di oggi «Un invito speciale per dire grazie a chi rende la vita ancora più bella»
Bob Morse, fuoriclasse della Ignis Varese degli anni 70, mangia ancora un menù doppio, come quando giocava. Una caratteristica che all’epoca fece rivedere la convenzione da 2.500 lire tra la squadra della famiglia Borghi e il ristorante Brigantino. Ma nel «pranzo dei campionissimi» — che si è tenuto ieri a Villa Andrea, nel complesso delle Ville Ponti di Varese — il grande cestista venuto apposta dagli Stati Uniti stavolta era il piatto forte. Di un menù ricco di stelle di ieri, dell’altro ieri, ma anche di oggi: Dino Meneghin, Aldino Ossola, Toto Bulgheroni per il basket; Felice Gimondi, Vittorio Adorni, Ivan Basso per il ciclismo; Livio Berruti, Franco Arese e Filippo Tortu per l’atletica; Simona Quadarella per il nuoto, Pierpaolo Frattini per il canottaggio, Stefano Codega e Barbara Gandini per gli Special Olympcs, le Olimpiadi dei disabili intellettivi.
Tutti protagonisti del pranzo dei sogni che si è regalato il Cavalier Alfredo Ambrosetti, fondatore del celebre Studio. Stavolta niente Forum tra economisti e politici da tutto il mondo, riuniti sulle rive del lago di Como. Ma campioni e famiglie dei campioni, come i figli di Coppi, di Bartali, le famiglie di Magni, Guerra, Girardengo e di Binda (compresa la moglie Lina), padrino di Ambrosetti, che si chiama Alfredo in onore del grande ciclista varesino: «Per me questa è come la Festa del Ringraziamento che si celebra negli Stati Uniti — spiega il Cavaliere, aiutato nell’organizzazione della giornata da Pier Bergonzi, vicedirettore della Gazzetta dello Sport, anfitrione assieme al direttore della Rosea, Andrea Monti — : è il mio grazie a questi campioni per la gioia che mi hanno dato nella vita e per averla resa ancora più bella».
Ormai abituati da anni a dispensare aneddoti e retroscena delle loro imprese, i vecchi campioni sanno come rendere ancora più memorabili certe giornate. Ma tocca al più piccolo di tutti, Filippo Tortu, dare il senso di un appuntamento così insolito e particolare.
Che non è fatto di solo amarcord, ma anche di valori da trasmettere, per lo sport e attraverso di esso: «Io non sono cresciuto guardando Bolt o Gatlin — racconta il ventenne milanese, primo italiano ad abbattere la barriera dei 10’’ nei 100 metri —. ma col mito di mio fratello e di Livio Berruti: condividere lo stesso approccio all’atletica che aveva lui, sempre sereno e gioioso, mi riempie il cuore. E mi emoziona». Il passaggio del testimone così è assicurato.