RUAH, FINE DI UN’ERA
Sembrava il settore più florido della nostra economia traccheggiante, con una domanda di servizi in crescita esponenziale, con aspettative di interminabile durata, soprattutto con continue assunzioni. Sì, nel ramo accoglienza sembrava andare tutto a gonfie vele: le disgrazie del Terzo Mondo servite direttamente qui in casa nostra, a chilometri zero, ogni giorno nuovi arrivi e nuove urgenze. La generosa terra di Bergamo ci ha dato dentro, segnalandosi ancora una volta per cuore e per efficienza: in un vortice di polemiche nazionali, in un inevitabile frullatore di difficoltà pratiche, siamo comunque riusciti a mettere in piedi un nostro modello. In diversi paesi, ma anche in città, tanti stranieri erranti hanno trovato un approdo: non allo Sheraton, qualche volta si sono persino lamentati dell’isolamento e della scarsa cucina, ma in ogni caso hanno smesso di soffrire la fame e di rischiare la vita. Comunque un buon salto nella scala sociale. Adesso però si accende una spia rossa, impensabile soltanto un anno fa: crollano gli arrivi, crolla l’attività del settore, crolla l’occupazione. Il caso Ruah, il gruppo esposto in prima linea, colpisce per la cattiveria dei dati: nel 2017 la cooperativa contava su 210 addetti, un anno dopo sono 156, prestissimo saranno 135. Se non è crisi questa. Un’altra bolla che esplode e che lascia vittime sul marciapiede. In questo caso, italiane. Servirebbe solidarietà anche per queste famiglie, c’è qualcuno dalle nostre parti che si metta una mano sul cuore per loro?