«Così il buio aiuta a capire la realtà»
Cesare Picco al Conservatorio con il Blind Date
La prima volta fu a 11 anni quando, durante un concorso pianistico, a causa di un vuoto di memoria finì a istinto l’ultima variazione di «Ah! Vous dirai-je, maman» di Mozart. Da allora per Cesare Picco, compositore raffinato che ama mettersi in gioco continuamente, improvvisare è diventata la regola, una parte del suo essere e del suo pianoforte. Di più: un linguaggio, un bisogno, il pilastro su cui si fonda la sua poetica musicale e la sua visione del mondo. Del resto, diceva George Gershwin «La vita è un po’ come il jazz: viene meglio quando si improvvisa». Quindi era naturale che Picco, vercellese di nascita e milanese d’adozione, ne facesse il motore e il cuore del suo Blind Date, il concerto con il quale da anni dà appuntamento (al buio) ai suoi fan.
Il format, da lui stesso ideato, sperimentato prima tra pochi amici e poi portato dal vivo dal 2009, è cosa nota: un viaggio dalla luce al buio assoluto (quello della cecità) alla luce sul filo dell’improvvisazione, nel quale Picco, in stretto contatto emotivo con il pubblico — «protagonista quanto me del concerto» — porta gli spettatori alla scoperta di mondi nascosti e sconosciuti. «Nelle tenebre troviamo suoni mai uditi prima», ha scritto nel libro che racconta genesi ed esperienze del Blind Date. Ogni volta un viaggio diverso: tra le torri di Kiefer all’Hangar Bicocca; con le scenografie oniriche di Barnaba Fornasetti; con un quartetto d’archi lo scorso anno. E nel concerto di stasera, realizzato come sempre in collaborazione con Cbm, l’Ong che combatte la disabilità visiva nei Paesi più poveri del mondo di cui Picco è ambasciatore, addirittura con una squadra di dieci persone: oltre al ritorno degli archi dei Virtuosi italiani, il quartetto di voci Il canto di Orfeo, Aram Ipekdjian al duduk (strumen- Improvvisatore
to a fiato armeno) e Jennifer Pipolo alle percussioni. Tutti sul palco del Conservatorio accanto a lui che siede al piano e alle tastiere elettroniche.
«Rispetto all’inizio il Bind Date è cambiato moltissimo: nei confronti miei, del pubblico e della musica», spiega Picco. «È una continua e inarrestabile sperimentazione, una palestra nella quale allenare fisico, mente, spirito. Tant’è che ormai ha una sua ritualità, una regia precisa. È un teatro musicale che mette il suono al centro di tutto e che per questo, paradossalmente, potrebbe arrivare a
Il compositore «Stasera saremo in undici sul palco: voci, archi, percussioni e il duduk armeno»
svilupparsi su una nota sola. Sarebbe bellissimo». Per ora il dialogo a due con il pubblico è diventato una conversazione a tre, aumentando esponenzialmente scambio energetico e condivisione. «Perché il buio? Perché è lo spazio della solitudine, lo spazio in cui si riscopre se stessi. Attraverso il “mio” buio porto le persone a prendere coscienza di questa realtà».