«Nessuna lite, Cosimo ci pagava»
Prof ucciso, parlano gli indiani della cascina: l’abbiamo lasciato alle 17, era allegro
Da cinque anni, ogni giorno, raggiungevano Entratico in bicicletta per andare a lavorare nella cascina di Cosimo Errico, il professore ucciso mercoledì. Mandip Singh, 37 anni, e Surinder Pal, 56, sono gli indiani di Casazza che i carabinieri hanno ascoltato subito dopo il delitto. «Cosimo era bravo, ci pagava in contanti tutte le domeniche — dicono —. Non lo abbiamo mai visto litigare con nessuno».
Un ragazzino di 16 anni fa da traduttore. Ha la pelle scura, ma è nato a Seriate. Tra una frase e l’altra infila pure qualche intercalare in dialetto. Giovedì all’alba due pattuglie si sono fermate in questa piazza, su cui s’affacciano panni stesi e campanelli senza nome. Hanno suonato a questa casa in pietra, nella zona vecchia di Casazza, i Mulini, dove si concentra la gran parte delle famiglie indiane del paese. Al primo bar della zona ti indicano il portone. Mandip Singh, 37 anni, e Surinder Pal, 56, erano gli aiutanti fissi alla cascina di Cosimo Errico, il professore dell’istituto Natta ucciso a coltellate la sera prima che loro venissero portati in caserma. Inevitabilmente.
Pal è in Italia da 16 anni, a malapena pronuncia qualche parola in italiano. Singh, da 11, si sa spiegare. Sono entrambi del Punjab, regione sikh al confine col Pakistan. Nel sottoscala, uno scooter parcheggiato. Si affacciano, si cambiano la maglia, tornano e si accomodano al primo piano, in una stanza con due divani, un tavolino e poco altro. «Lavoravamo con il signor Cosimo da cinque anni. Aveva iniziato lui — racconta Singh indicando l’amico —. Surinder gli aveva chiesto se c’era bisogno di lavoro e lui aveva risposto di sì. Io ho cominciato poco dopo. Tagliavamo l’erba, facevamo da muratori, sistemavano le cose». Un po’ in nero e un po’ in regola, a loro dire. «Per alcuni periodi abbiamo avuto un contratto di quattro ore — proseguono con l’aiuto di Prince, il ragazzino —. Cosimo ci pagava in contanti settimana per settimana, ogni domenica. Eravamo impegnati dal lunedì al sabato dalle 8 alle 17 e la domenica fino alle 12. Lo stipendio era di 5 euro all’ora, 40 euro al giorno». Problemi a farseli corrispondere? «Ci ha sempre pagato, era molto bravo», risponde Singh. Il numero di collaboratori variava a seconda dei periodi, «da un anno e mezzo c’era anche un marocchino di Borgo di Terzo». Le ultime scolaresche hanno visitato la cascina proprio mercoledì: «Quel giorno Cosimo rideva sempre, era allegro — dice ancora Singh —. La mattina abbiamo pigiato l’uva, il pomeriggio seminato il mais. A me ha detto di tornare il giovedì alle 10.30, a Surinder alle 8. Lo abbiamo lasciato tutti e due alle 17. Siamo tornati in bicicletta come sempre. Poi, sono arrivati i carabinieri».
Singh sussurra una frase in indiano al ragazzino: «Vuole sapere se è stato preso qualcuno». No, i carabinieri stanno ancora ricomponendo il puzzle. I tasselli non mancano. Telefoni, telecamere. L’assassino, inoltre, si è macchiato le suole con il sangue della vitti- ma. Sul pavimento c’erano impronte anche di una seconda persona, segno che sulla scena del delitto erano almeno in tre. Anche agli indiani, non a caso, sono state sequestrate scarpe e biciclette. «Quando sono i funerali?», traduce Prince. Già celebrati. Singh esclama un «no» dispiaciuto. Il ragazzo aggiunge che avrebbero voluto partecipare tutti: «Gli eravamo affezionati, andremo dalla moglie», aggiunge Singh. Non l’hanno mai conosciuta, nemmeno il figlio. Singh era stato un’unica volta a casa di Errico per caricare l’uva nel suo garage. Mai saputo di liti? «No». Il 30 settembre alla cascina c’era stata una festa con decine di marocchini. Problemi? Altro «no». L’ultima sera doveva vedere qualcuno? «Non so».
«In vita nostra non eravamo mai stati dai carabinieri. Ci hanno portato a Trescore, poi a Bergamo e riaccompagnato a casa all’una», concludono i gli indiani, Pal col suo occhio infortunato: «Mi ero fatto male alla cascina, una pietra mi è saltata in faccia. Cosimo mi ha portato in ospedale, ha pagato tutto lui. Adesso per noi sarà un grosso problema: non abbiamo più un lavoro».
Biciclette «Le usavamo per andare a Entratico, ce le hanno sequestrate insieme alle scarpe»