Il «sangue sacro» e la morte come nuovo inizio
Gli occhi grigi dietro le lenti degli occhiali, uno sguardo che sembra interrogare chi lo ricambia. Ian McEwan è nella sua stanza d’albergo, al Gombithotel. Alle sue spalle, una cartina di Bergamo Alta.
Il romanziere inglese parla del film «Il verdetto», in uscita il 18 ottobre per la regia di Richard Eyre. McEwan ne ha scritto la sceneggiatura, traendola dal proprio libro, «La ballata di Adam Henry». Nella storia, una giudice, Fiona Maye, si occupa di tutela di minori e, mentre il matrimonio con Jack va a rotoli, deve pronunciarsi su un caso singolare. Adam, un ragazzo di 17 anni, gravemente malato, rifiuta la trasfusione di sangue che potrebbe salvargli la vita, perché si tratta di una pratica contraria alla sua religione. È testimone di Geova, come i suoi genitori.
Il film presenta una disputa tra posizioni umane diverse, ma anche tra sensibilità umane diverse.
«Da una parte c’è una visione religiosa che considera il sangue sacro, e non deve mescolarsi con quello di altri. Dall’altra, c’è la legge, che deve essere combinazione di ragionevolezza e compassione. Mentre scrivevo il romanzo e la sceneggiatura, capitava che dei testimoni di Geova suonassero alla porta. Io ho chiesto loro: “Se aveste un figlio in una simile condizione, che cosa fareste?”. Ognuno rispondeva: Scrittore
Ian McEwan, ospite di BergamoScienza, ha firmato la sceneggiatura di «Il verdetto» “Piuttosto la morte, perché per voi la morte è la fine, per noi è l’inizio”».
Come si pone la legge in questi casi?
«“Lasciare che il bambino muoia per le convinzioni proprie o della famiglia?”, è la domanda. La risposta, per la legge, è sempre “no”. Da parte mia non c’è una presa di posizione di nessun tipo, ma l’intento di mostrare le due parti».
All’inizio sembra che Fiona abbia tutte le risposte. Però, poi, il suo ruolo e quello di Adam si invertono. Se il verdetto del giudice ha lo scopo di dare certezze per proteggere i ragazzi, il ruolo dei ragazzi è farci domande per proteggerci da noi stessi?
«Adam fa delle ricerche e scopre che il giudice, in questi casi, delibera sempre a favore dell’ospedale, per tutelare la salute del minorenne. Insomma, Fiona, che potrebbe chiudere la faccenda con un timbro, decide invece di conoscere il ragazzo di persona. Commette un atto insolito perché la sua vita sta andando in pezzi. Però sa bene che deve poi prendere le distanze. Lui invece rimane folgorato e cerca in lei una sorta di guida intellettuale. Fiona ritiene che la sua responsabilità abbia termine con il verdetto, però poi avviene qualcosa che apre uno spazio di ambiguità... A questo proposito, abbiamo ricevuto una lettera da parte di Meryl Streep che ha apprezzato questo margine di incertezza. Uno dei temi del film è infatti la responsabilità che ciascuno di noi ha nei confronti degli altri nel momento in cui stabilisce un contatto».