Una mostra spaziale Alla Gamec «Black hole» aperta fino al 6 gennaio Opere che raggiungono il centro della materia
L’esposizione «Si rivela l’approccio scientifico dell’arte»
Storia
Si potranno ammirare i capolavori, tra gli altri, di Burri, Fontana, Rodin e Christo
Per titolo, «Black hole». Per sottotitolo, «Arte e matericità tra informe e invisibile». La Gamec ha scelto parole misteriose, che invitano il visitatore in un mondo in apparenza oscuro per la mostra d’autunno, allestita sino al 6 gennaio. Si richiamano i buchi neri, la scienza e l’universo, per il primo capitolo di una trilogia espositiva che indagherà la materia, la sua essenza e la voglia degli artisti di grattarla, ferirla e manipolarla sino in profondità per capire di cosa è fatta.
«Black hole — dichiara l’assessore Nadia Ghisalberti — è una mostra che rivela l’approccio scientifico dell’arte, dimostrando come i risultati della scienza siano entrati nella vita di tutti i giorni». Non si creda di assistere a installazioni, video o rappresentazioni di teorie scientifiche. Sì, c’è anche questo nello Spazio zero, dove il visitatore è invitato a sdraiarsi su dei pouf e ammirare l’installazione ER=EPR, realizzata da Evelina Domnitch & Dmitry Gelfand per Meru Art: proiettata sul soffitto, l’interazione di due buchi neri binari, simulati da vortici di acqua, ascoltandone le frequenze di sottofondo. Ma «Black hole» è soprattutto una mostra che avvolge e disorienta, facendo vivere un’esperienza immersiva tra alcuni capolavori della storia dell’arte moderna e contemporanea in dialogo: da Alberto Burri a Lucio Fontana, da Antonì Tàpies a Christo, da Auguste Rodin ad Anis Kapoor. Questa mostra divisa nelle sezioni Informe, Uomo-materia e invisibile, «è un tuffo nel- la materia, si rimane nella piena oscurità per qualche tempo, per poi riemergere alla luce», dice Lorenzo Giusti, direttore della Gamec, nonché curatore dell’esposizione, insieme a Sara Fumagalli e alla partecipazione di BergamoScienza.
E mentre parla mostra il «Cretto» di Burri, realizzato nel 1973: una distesa nera, le cui fenditure cave e informi circondano un vuoto centrale, un nero assoluto che proietta in una dimensione infinita. In quest’opera, esposta nella prima sala, sembra sintetizzato tutto il percorso espositivo: una selezione pensata di opere in cui gli artisti sono andati al centro della materia, partendo dalla corrente dell’Informale del Dopoguerra, in cui autori come Burri o Fontana, di cui sono esposti capolavori come il «Concetto spaziale» che ci apre all’invisibile, hanno rifiutato qualsiasi forma figurativa, e ripensato a un fare artistico, che con la pittura nucleare «esamina gli atomi, di cui è fatta la materia e l’universo. Partendo da una materia infinitesimamente piccola ci si proietta alla dimensione infinita», commenta Giusti. Che è richiamata dall’opera «The Earth» di Anish Kapoor, il «buco nero» in cui vi cadde un visitatore, la rappresentazione della profondità e del possibile vuoto.
Ma prima di arrivare all’opera dell’artista indiano, in mezzo c’è molto altro: la materia magmatica di Piero Manzoni, famoso per la «Merda d’artista», qui è autore di un Senza titolo realizzato con olio e catrame, in cui sembra che qualcosa si muova sotto la superficie; i «muri» di Tàpies, fatti di terra e argilla e carta; il segreto della materia cromatica svelata nei cumuli di colore di Milton Resnick; la poetica del non finito manifesta nella scultura «Eternelle idole» di Auguste Rodin e in quelle di Medardo Rosso, il cui fine era «far dimenticare la materia» sino al «cantore del suolo» Jean Dubuffet, sguardo ravvicinato sul microcosmo di cui tutto si compone: materia pura, viva.