Si chiama Haifa ma potrei essere io
Ottavia Piccolo in un’Odissea contemporanea
È l’Odissea del terzo millennio e ha un nome e cognome. Haifa Ghemal, una donna di Mosul nata per essere normale, stanziale e che invece il destino disumano della guerra spinge, in nome della sopravvivenza con la nipotina di quattro anni, dai deserti del Medio Oriente ai ghiacci del mare del Nord. «Occident Express» è il diario di una fuga, un viaggio di cinquemila km. di sola andata, senza meta sul palco mondo del teatro: «Inizia così», racconta Ottavia Piccolo che rivive ogni sera questa avventura come fosse la prima, «un viaggio di 118 giorni, su ogni mezzo, attraversando Turchia, Grecia, Macedonia, Ungheria, con caldo, freddo e paura, fino all’ultimo approdo per mare, verso la salvezza in Svezia».
Quella scritta da Stefano Massini, alla settima collaborazione con la Piccolo per dar voce e volto a tante donne nostre contemporanee, è una storia verosimile perché vera, di un puzzle. «Mi ha mandato il testo senza dirmi nulla e io senza dire nulla ho letto e subito accettato», dice l’attrice, che ama la semplicità della vicenda così universale, questa Odissea ad personam. «Sono una 60enne irachena, è la mia età, ma poteva essere una nonna friulana, messicana, siciliana, non sarebbe cambiato nulla. Ci si scontra con l’aridità, l’avidità e la stupidità della guerra: credo che sia giusto e utile raccontarla». Se il palco del Piccolo Teatro diventa una landa infinita, né l’autore né l’attrice vogliono in questo caso far vero spettacolo: «Bastano le parole, dure come il marmo, e il rapporto con la musica dal vivo di Enrico Fink suonata dagli 8 musicisti dell’Orchestra multietnica di Arezzo: la musica impersona vari personaggi e ho pensato davvero che fosse una cosa da raccontare». Monologo e/o melologo senza addobbi o fascinazioni visive: «di quelle, in un mondo do- minato dalle immagini, ne abbiamo sempre troppe e ci aiutano solo a dimenticare più in fretta gli orrori che accumuliamo nell’inconscio. No, non abbiamo le soluzioni da offrire ma vogliamo spiegare che ognuna di queste persone in fuga, in viaggio, ha dentro il percorso di una storia, ha una vita e forse non le bastano solo cibo e sonno».
Vengono in mente il pane e le rose, l’attualità stretta e drammatica di Riace, viene in mente che il teatro vive una sua urgenza morale in un mondo così dilaniato: «Stefano ed io siamo come Pirandello e Marta Abba ma, al contrario, lui ha l’età di mio fiparte glio». «E in questa donna», dice Massini, «sorge la pianta verde di un’epica moderna, c’è il nostro tempo, la gratuità del male, l’avidità del denaro, la lotta per la vita. Anche Omero chinerebbe la testa: sono leggende già pronte. Il teatro non cambia il mondo, ma per Ottavia vivere ogni sera la storia di Haifa l’aiuta a non girarsi dall’altra parte e a mettersi in cammino con lei».
Dall’Iraq all’Occidente «È uno scontro con l’aridità, l’avidità e la stupidità della guerra. E va raccontato»