Ricerche e pensieri Storie d’artiste
Dall’Opera Bonomelli ai mercati etnici: Valentina Furian e Letizia Scarpello sono le vincitrici della residenza Highlights
Per loro l’arte è fine a se stessa. Deve «smuovere delle riflessioni» dice Valentina Furian, ma non va spiegata troppo, se ne perderebbero «la fascinazione e il mistero, il potere dell’oggetto artistico», aggiunge Letizia Scarpello. Giovani artiste ventinovenni, veneta la prima, abruzzese la seconda, per un mese hanno vissuto in via Quarenghi, quali vincitrici della residenza d’artista Highlights. Si sono relazionate con la gente che ci vive, la realtà multietniche o di vicinato, come la Bonomelli. Ognuna ha attinto dal territorio ciò che serviva per la propria ricerca e pensiero d’artista, che «non so spiegare a parole, il mio linguaggio è la mia opera», dice Furian, indicando la scultura bivacco fatta di materiale plastico e compensato, messa nell’angolo dello spazio espositivo Giacomo.
Ricorda una tenda. I colori sono il blu del cielo e il verde chiaro, talmente chiaro da sembrare bianco, ma in realtà riprende il pantone usato per l’edificio di Ubi Banca, in piazza Vittorio Veneto. Per il suo intervento, dal titolo «Almeno guarderemo le stelle», si è interfacciata con architetti del comune e di Flânerie, il progetto di riqualificazione del centro piacentiniano, ha studiato il piano del colore, ha parlato con il direttore dell’Opera Bonomelli e con Antonio, che lì ha trovato accoglienza, dopo mesi di vita di strada. A lui Valentina ha chiesto consigli su come passare la notte all’aperto, «mai provata, se si escludono i campeggi estivi — dice l’artista —. Le sue parole mi sono servite per realizzare questo lavoro, nato dal chiedersi come si trascorre la notte in città, cercando di mimetizzarsi con l’architettura urbana».
Furian ha realizzato due sculture minimali, pensate in relazione con l’edificio di Ubi e la procura, luoghi usati come giaciglio dai senzatetto. Per il palazzo di Giustizia ha preso a riferimento la statua raffigurante lo «Ius». «Ho pensato a un panno che partisse da quello della scultura e con esso si mimetizzasse, come se si dormisse nel drappo della giustizia — illustra l’artista veneta —. Ma queste opere non sono pensate per essere collocate nello spazio urbano o per risolvere il problema degli homeless. L’arte è fine a se stessa, smuove delle riflessioni. In questo caso il vivere da nomade e il mimetismo, che è un limite tra realtà e finzione: finge l’assenza mettendo in scena una presenza».
Alla presenza multietnica si è rivolta Letizia Scarpello, che ha intitolato il suo intervento «Supermarket». «Per un mese ho vissuto i mercati e supermercati etnici della via e pensato di restituire la forza dell’estetica cinese — racconta —. Ho riprodotto su un manifesto e dei volantini l’immagine di un sacchetto di zucchero che si compra in uno di questi negozi, a cui ho aggiunto il potere e poesia dell’arte tingendo il contenuto con dei pigmenti colorati. È un omaggio a Warhol che per primo usò il potere dell’immagine riferito a beni di consumo di massa. Questo desiderio di inserire la mia azione d’artista sulla materia si manifesta anche nei tessuti che mostro, tinteggiati e trattati da me. Un lavoro che sento rituale e intimo, come scrivere un diario. Non so spiegare perché. L’arte non ha bisogno di parole».
Mi sono ispirata agli homeless, ma la mia opera non risolve i loro problemi Valentina Furian
Omaggio a Warhol che declinò il potere dell’immagine sui beni di consumo