detto? Chi l’ha che il lupo è cattivo Oggi
Dal Vangelo al Medioevo, alla versione di Cappuccetto rosso con la bambina che si salva
Il lupo è cattivo? La storia racconta qualcosa in più, e la fiaba di Cappuccetto Rosso forse era un po’ diversa da come la raccontano. Riccardo Rao, professore di Storia medievale dell’Università di Bergamo, presenta oggi «Il tempo dei lupi», un libro che ripercorre la figura del lupo attraverso la letteratura, il tempo, i luoghi. Compresa Bergamo. Si scopre quindi che, nel XIV secolo, i pastori della Val Brembana portavano alla cattedrale di Sant’Alessandro forme di formaggio perché le greggi venissero liberate dai lupi, «come se i santi — si legge — dovessero nutrire particolare riguardo per il bestiame delle valli, se volevano mangiarne i formaggi». Inoltre, ad Albino c’è la chiesa della Concezione, detta anche «Madonna del Lupo», per un voto di un bimbo che era stato salvato dall’attacco di queste bestie.
Professor Rao, da dove viene questa paura del lupo?
«Viene da lontano ed è radicata nella nostra cultura, soprattutto cristiana. Nel Vange- lo di Matteo si trova, ad esempio, “Ecco, io vi mando come pecore in mezzo ai lupi”. Nei testi della tradizione, Gesù è citato spesso come agnello, i fedeli come gregge di pecore e i “lupi” sono i pagani, gli infedeli. Così, la cultura dotta degli ecclesiastici penetra in modo letterale nelle altre classi sociali, per cui il lupo stesso viene equiparato al male. In realtà, il lupo non è né buono né cattivo».
Da che cosa derivano i contrasti tra lupi e uomini?
«Cominciano soprattutto quando, nel Medioevo, l’essere umano inizia a disboscare vaste aree prima ricoperte da foreste. A invadere, dunque, in un certo senso, l’habitat del lupo, portandolo alla progressiva riduzione. Così si creano i primi contrasti. Attualmente in provincia di Bergamo i lupi vivono su un territorio di meno di 900 mila kmq, mentre nel passato erano più di 2000. Nel corso dei secoli il rapporto spesso non era amichevole, talvolta anche duro, ma anche fatto di convivenza quotidiana. Tendenzialmente, infatti, i lupi non attaccano gli uomini. Talvolta però attaccavano le greggi e anche i bambini che facevano i pastori, e questo ha intensificato l’idea del lupo terrore dei più piccoli».
Il libro affronta anche l’immagine del lupo nella letteratura, da Beowulf a Fenrir, passando per Dante. Senza dimenticare le fiabe, come Cappuccetto Rosso, di cui si dà una particolare interpretazione.
«La versione dei fratelli Grimm è quella più conosciuta: si conclude in modo positivo, con il cacciatore che salva la bambina e la nonna. Nella versione di Perrault, invece, alla fine Cappuccetto Rosso viene divorata, senza scampo — e chissà, forse al giorno d’oggi non sarebbe possibile leggerla ai bambini —. Ma facciamo un passo indietro, una sorta di archeologia della fiaba. Un certo Egberto da Liegi, nel 1020, scrive un racconto intitolato “Della bambina risparmiata dai lupacchiotti”. Nella storia, una bimba, durante il battesimo, riceve una tunica di lana rossa. Viene poi rapita dai lupi, che la portano nel bosco, ma i cuccioli non la divorano e iniziano a giocare con lei. Da questo racconto si capisce che la tunica è un dono battesimale ed è questo che protegge dal lupo, immagine del male».
L’argomento è vasto. Come ha lavorato per scrivere questo libro?
«Ho iniziato la stesura lo scorso anno. Il problema principale sono state le fonti più antiche, che spesso non distinguono tra studio scientifico e superstizione. (Si credeva, ad esempio, che guardare negli occhi un lupo potesse togliere l’uso della parola). Ho poi unito la ricerca d’archivio alla ricerca sul campo. Alla fine ho inserito un episodio personale, un contatto con i lupi che ho avuto durante la stesura. Ero incerto se metterlo o no, ma sono del parere che la storia, soprattutto quando non parla di idee, ma di paesaggi e di natura, abbia bisogno di sapersi confrontare con la concretezza dell’esperienza».
Nei testi della tradizione Gesù è citato come agnello e i “lupi” sono i pagani, gli infedeli
Anche per questo il lupo viene equiparato al male, ma in realtà non è né buono, né cattivo