Corriere della Sera (Bergamo)

Adesso ho l’età per Beckett

- Giuseppina Manin

«Forse per capirlo davvero, bisogna arrivare al tramonto della vita. Quando tutto si fa rarefatto e il senso delle cose ti si sgretola tra le dita. Ma il cuore si scalda di una tenerezza inaudita». Glauco Mauri ragiona su Beckett. Un vecchio amore di teatro, un compagno di strada che frequenta da oltre mezzo secolo. «In Italia ho portato in scena per primo due suoi titoli, L’ultimo nastro di Krapp e Atto senza parole. Era il 1961, avevo 31 anni».

Adesso che ne ha compiuti 88 arriva al Piccolo Teatro Grassi con «Finale di partita», testo cardine del ‘900, regia di Andrea Baracco. Mauri nei panni del dispotico Hamm, Roberto Sturno in quelli del suo servo Clov. «Gli ultimi pezzi di una partita a scacchi di cui Hamm è il re e Clov il pedone — spiega Mauri —. Un re il cui trono è una sedia a rotelle, cieco come Edipo, che quella partita ha perso fin dall’inizio ma tenta mosse insensate per rinviarne l’inevitabil­e fine”»

«Tocca a me», la prima battuta di Hamm. «Quella che apre una partita senza scampo ma anche divertente. Che chiede ai giocatori lucidità, follia, ironia». Proprio come la vita. Con la tragedia che scivola nella farsa e la farsa in tragedia. «Niente è più comico dell’infelicità, assicura Beckett,

❞ La tragedia scivola nella farsa: niente è più comico dell’infelicità assicurava l’autore

grande estimatore dello humor silenzioso e surreale di Buster Keaton. Ionesco, che ho conosciuto ai tempi in cui interpreta­vo Il rinoceront­e, mi raccontava che ogni tanto gli telefonava per salutarlo e talvolta lui rispondeva simulando una vocetta femminile che diceva “Il signore non è in casa”. Al che Ionesco replicava “ok, Samuel. Ci sentiamo”».

Scherzi da clown. «Nessuno è più dolente di un clown, che con la stessa smorfia ride della vita e della morte. La Partita beckettian­a si svolge tra questi poli, in un bunker post atomico dove gli unici oggetti sono due bidoni della spazzatura da cui spuntano Nagg e Nell, i genitori di Hamm senza gambe». Tronconi umani che nonostante tutto non sembrano aver perso l’affetto che li legava. «Due vecchi che si parlano d’amore. Mi commuovono più di Romeo e Giulietta. L’amore della vecchiaia e della disperazio­ne va oltre quello della giovinezza e della speranza». La tenerezza vince l’assurdo. «Persino tra Hamm e Clov forse c’è affetto. “Una specie di grande pietà” dice Clov. Forse. La parola più importante per Beckett. Lo spiraglio al non senso, all’umanità nel disumano». Godot forse non arriverà mai. Ma intanto En attendant Beckett è il nuovo spettacolo che Mauri e Sturno dedicano al grande irlandese.

A 88 anni non ci si può fermare. Dopo Beckett tocca a Dostoevkij, i Karamazov. «I grandi si attirano, loro due e Shakespear­e mi hanno accompagna­to tutta la vita. Quel po’ di umanità che mi è cresciuta dentro la devo molto a loro». Eppure come dice Macbeth «la vita è la favola raccontata da un idiota piena di rumore e furore, che non significa nulla». «Il mondo di oggi è così, una delusione. Il solo senso della vita lo costruisci tu, giorno dopo giorno. Con gli affetti e il lavoro. Alla fine sono ottimista. L’umanità può essere degradata ma non distrutta».

In prospettiv­a «Bisogna arrivare al tramonto, quando tutto si fa rarefatto e il cuore si riempie di tenerezza»

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