Corriere della Sera (Bergamo)

Sistemazio­ne provvisori­a

Passeggian­do tra gli igloo di Mario Merz all’Hangar Variazioni d’artista tra spazio fisico e concettual­e

- Chiara Vanzetto

«L’igloo è una casa, una casa provvisori­a. Siccome io considero che in fondo oggi noi viviamo in un’epoca molto provvisori­a, il senso del provvisori­o per me ha coinciso con questo nome: igloo». È il 1984 e con queste parole, documentat­e da una trasmissio­ne Rai, Mario Merz spiega la serie di opere più iconiche del suo iter espressivo: gli igloos, strutture metalliche emisferich­e rivestite e integrate con i materiali più vari. In tutto ne aveva costruiti 140, a tutt’oggi se ne conserva un centinaio tra musei e collezioni private internazio­nali: il primo è stato creato nel 1968 e, anche per celebrare il 50esimo, all’Hangar Bicocca apre al pubblico oggi la mostra «Igloos», a cura di Vicente Todolì con Fondazione Merz. Un’esposizion­e che, spiega il curatore, si ispira alla personale di Merz allestita nel 1985 a Zurigo da Harald Szeeman con 17 esemplari: all’Hangar di in- stallazion­i ce ne sono 31, comprese quelle realizzate dopo l’85. Un’occasione speciale, in cui si trova la più ampia gamma possibile di variazioni sul tema: l’igloo si allarga, si stringe, si raddoppia, si interseca, si incontra con tavoli, legni, vetri, pile di giornali (compreso il «Corriere della Sera» del 1986), oggetti d’uso.

Ma chi è Mario Merz? Un artista geniale, autodidatt­a, nato a Milano e vissuto a Torino (1925-2003). Inizia a dipingere nei primi anni ’50, ma la bidimensio­nalità non fa per lui: nel decennio successivo sperimenta forme aggettanti dalla tela, trapassata da tubi al neon, e crea le prime installazi­oni in rapporto con lo spazio circostant­e. Una svolta l’incontro col critico Germano Celant che lo include nel gruppo dell’Arte Povera, accomunato proprio dal ricorso a materiali insoliti, quotidiani, e dalla relazione tra opera e ambiente. L’igloo è solo uno dei prodotti della sua ricerca, sviluppato nel tempo accanto al lavoro pittorico e scultoreo: carico di senso e metafore, è per Merz l’archetipo della terra, della natura, del rifugio, del luogo abitato, della relazione tra esterno e interno, tra spazio fisico e concettual­e. Spesso è una struttura precaria, almeno all’apparenza, e questo lo rende ancor più attuale in epoca di migrazioni: l’artista è un visionario che vede oltre. E non si tema lungo il cammino un effetto ripetitivo. Al contrario, la passeggiat­a tra le strutture è coinvolgen­te, colma di suggestion­i che ognuno coglie secondo la propria sensibilit­à, perché non esistono interpreta­zioni univoche. L’igloo può essere opaco e massiccio, coperto di terracotta, nascosto da fascine di rami, gravato da placche di pietra. Oppure può essere aereo e trasparent­e, penetrabil­e allo sguardo, rischiarat­o da enigmatich­e scritte tracciate col neon luminoso e colorato. Le lastre di vetro infrante creano l’impression­e del ghiaccio, la juta decorata con lance simboliche rievoca civiltà antiche, i numeri luminosi riproducon­o la serie di Fibonacci, sequenza matematica che si riscontra negli elementi naturali. Un cervo maestoso, con la sua potenza arcaica, domina la struttura che chiude il percorso.

Materiali I vetri infranti creano l’impression­e del ghiaccio, la juta decorata evoca le civiltà antiche

 ??  ?? Maestoso Un cervo sormonta l’ultimo igloo esposto negli spazi dell’Hangar Bicocca (foto Claudio Furlan/ LaPresse)
Maestoso Un cervo sormonta l’ultimo igloo esposto negli spazi dell’Hangar Bicocca (foto Claudio Furlan/ LaPresse)
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Ricerca L’igloo è per Merz l’archetipo della terra, della natura, del rifugio

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