Clan dei Rosa Pene definitive
Confermate 3 condanne in Cassazione, la quarta imputata torna in Appello.
Il processo era sembrato un film, con un agente infiltrato in un giro di cocaina che in aula raccontò la sua missione dietro a un paravento, con mefisto sul volto e voce metallica. Il set fu Monasterolo del Castello, descritto dagli investigatori come terra di clan, quello dei Rosa e quello del «Ragno» Zambetti. Primo, secondo, terzo grado. La vicenda dei Rosa ha fatto il suo corso, a partire dalle prime condanne, il 7 novembre 2016, ma la sentenza per un imputato è stata annullata dalla Cassazione, con rinvio in Appello. Non per i familiari stretti, Gerardo Rosa (libero) e i figli Luca (in carcere) e Daniel (libero) condannati a Bergamo a 8, 10 e 4 anni, ridotti a Brescia a 7 anni e sei mesi per Gerardo Rosa e a 3 anni e sei mesi per il figlio Daniel. Per loro la sentenza è definitiva, l’esecuzione della pena dipende da diversi fattori, tra i quali il pre sofferto.
L’annullamento con rinvio, chiesto dallo stesso procuratore generale, riguarda invece un’amica del padre, Silvana Trussardi, di 38 anni, condannata a 4 anni e 6 mesi, ridotti poi di quattro mesi. Il primo giudice condannò la donna come concorrente di Gerardo Rosa in singoli episodi di cessione di droga, il secondo la
assolse da quelli ma la condannò per il «concorso nella detenzione di quantitativi non modesti di stupefacente». Nel ripercorrere la sentenza, la quarta sezione penale della Cassazione scrive di «agevolazione del Rosa che non si era arrestata alla mera connivenza passiva, ma che si era manifestata in condotte di supporto e di ausilio morale e materiale». Contro di lei ci sono delle intercettazioni, soprattutto. La Cassazione dà però ragione alla difesa, avvocato Alfio Bonomo, sul nodo della cessione-detenzione. L’esclusione del concorso nel primo tipo di reato «avrebbe imposto al giudice d’appello di meglio precisare la relazione della Trussardi con lo stupefacente, sia per fornire determinatezza e concretezza dell’addebito riconosciuto, sia per collegare anche cronologicamente tale relazione agli asseriti plurimi rifornimenti fatti dal Rosa e all’epoca in cui erano intervenuti i singoli atti di cessione», si legge nella sentenza. Insomma, quantoquando-come vanno chiariti.
«I giudici di Cassazione — commenta l’avvocato Bonomo — hanno evidenziato come la presunta condotta contributiva della Trussardi alla detenzione dello stupefacente da parte del coimputato mancasse di qualsiasi tipo di accertamento relativo all’oggetto, al tempo ed alle modalità di detenzione, evidenziandosi in tal senso l’ indeterminatezza dell’addebito riconosciutole, chiaramente sintomatica dell’assoluta infondatezza dell’accusa avanzata nei confronti della signora Trussardi».