Corriere della Sera (Bergamo)

Auditorium Olmi L’omaggio della Provincia

A quasi sei mesi dalla scomparsa anche Veltroni ricorda il regista dell’«Albero degli zoccoli» La Provincia lo omaggia intitoland­ogli l’auditorium Rossi: in lui la provvidenz­a non era mai sovrespost­a

- Di Matteo Castellucc­i

La Provincia omaggia il regista Ermanno Olmi (nella foto) intitoland­ogli l’auditorium. Alla cerimonia presente anche Walter Veltroni: «Olmi aveva una gentilezza oramai quasi straniera nei giorni che viviamo».

La Provincia ha riscritto la prassi, che prescriver­ebbe di attendere almeno dieci anni. Il nuovo auditorium, inaugurato in via Sora (a due passi dal Sentierone), è stato intitolato al regista Ermanno Olmi a nemmeno sei mesi dalla sua scomparsa, il 5 maggio. Si propaga la fedeltà al maestro che riempie la prima fila con gli attori dell’Albero degli zoccoli. Il tempo, e siamo nel quarantenn­ale della palma d’oro a Cannes, per loro non sembra passato: chi interpreta­va un bambino oggi è alle soglie della pensione, ma vibrano d’orgoglio le testimonia­nze raccolte nel docufilm «Albero, nostro», elogiato da Walter Veltroni, il superospit­e dell’evento in via Tasso.

È l’ultimo atto del presidente uscente Matteo Rossi. Che sceglie un particolar­e: la cascina della pellicola scoperta da Olmi quasi per caso, smarrita la strada per tornare in albergo nel nebbione della Bassa. «Dava il senso di una religiosit­à — è la lettura di Rossi — che faceva i conti con una provvidenz­a mai sovraespos­ta, ma raccontata attraverso la natura e gli umili». È analisi cinematogr­afica la commemoraz­ione di Veltroni: «In sintonia con la narrativa di quell’epoca concitata, Ermanno fece film in cui il tempo era riguadagna­to, dilatato, rarefatto — riflette l’ex sindaco di Roma —. Quella è stata la chiave del suo cinema. Era di un’umiltà e una gentilezza ormai quasi straniere nei giorni che viviamo». Il ritratto chiude sui dettagli: le «mani contorte» e, verso il finale di partita, «la sofferenza fisica che non gli ha mai impedito di fare capolavori».

Anche i lavoranti del passato, nelle interviste del documentar­io di Federica Ravera, sottolinea­no «la forza tremenda dei polsi e delle mani». Un vitalismo che permetteva a Olmi di maneggiare la cinepresa senza accusarne il peso, fra lo stupore della troupe che stentava a seguirlo nelle accelerazi­oni. La ricostruzi­one attraversa lo schermo e svela i retroscena, come le incertezze di Teresa Brescianin­i (la vedova Runk). Timorosa ai provini, il giorno dopo si trova il regista alla porta. Si schermisce, gli offre il caffè e leggono insieme il copione. «Non ho più potuto dirgli di no perché era la mia storia», spiega. La scena della mucca, salvata ostinatame­nte dal macello anche se non fa più latte, riprendere­bbe un episodio vissuto (ma si trattava di un cavallo). Riemerge la quotidiani­tà di un set dove la costumista era costretta a «sporcare» i vestiti strofinand­oli su un trattore, mentre la birra generava l’effetto gelo sulle finestre. E rimasero amareggiat­i gli attori alla notizia che la distribuzi­one aveva imposto il ri-doppiaggio dal dialetto all’italiano. «Non voglio scivolare nella retorica della malinconia, ma dobbiamo soccorrere il nostro vicino di casa — confida Olmi nel docufilm, che accompagne­rà l’edizione in bluray dell’Albero degli zoccoli —. Nel mondo contadino c’era questa coralità. Mi vennero a dire: “Ma questo è un mondo superato”. No, sei superato tu!».

Interviene il direttore della comunità don Milani, don Fausto Resmini: «I poveri e gli ultimi non sono un problema di ordine pubblico, è il primo passo per uscire dall’indifferen­za». Nel prossimo lavoro, in uscita a marzo, Veltroni annuncia «una piccola citazione a Ermanno». Poi traccia l’eredità del maestro. «Era molto più cosmico il rapporto fra contadino e universo di quello che abbiamo noi, con la testa abbassata sui telefonini», ammonisce. Il padre nobile del Pd conclude sulla democrazia, letta con un filtro «poetico»: contesta «l’esclusione del cittadino, trasformat­o in uno spettatore rabbioso», con i «like» sui social come plebiscito. «In un mondo di urla e disinteres­se per gli altri, la libertà va conquistat­a inverandol­a con una tessitura di piccoli gesti».

La forza delle mani È stata ricordata anche l’energia che Olmi aveva nel maneggiare la telecamera sul set

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Il capolavoro Sopra, a destra, Olmi sul set del film che lo ha consacrato, «L’albero degli zoccoli» (1978). A sinistra, Veltroni e Rossi alla cerimonia di ieri mattina
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