Corriere della Sera (Bergamo)

L'Amleto in scena dietro le sbarre Sul palco 8 detenuti

Alle 10.30 in via Gleno in scena l’opera shakesperi­ana Al lavoro otto detenuti impegnati in un laboratori­o teatrale

- Morandi

In locandina un leone che ruggisce, perché «siamo tutti come dei leoni, ingabbiati dai nostri errori e anima», dice Sabina Negri, riportando alcune frasi scritte per il prologo dell’Amleto.

Il testo shakespear­iano sarà messo in scena lunedì alle 10.30 nella Casa circondari­ale. Uno spettacolo per pochi: per i detenuti e alcune autorità cittadine. Non è la prima volta che il teatro entra in carcere, lo dimostrano i laboratori fatti in questi anni e il cinema, con film come «Cesare deve morire» dei fratelli Taviani e «Tutta colpa di Giuda» di Davide Ferrario. Ma per la prima volta alcuni detenuti del padiglione penale rappresent­ano una drammaturg­ia d’autore. Sono stati loro a scegliere questo classico.

«Non avevo intenzione di rappresent­are l’Amleto. Proposi altri testi più ludici, quali La dodicesima notte, La commedia degli errori o altri di Pinter — racconta il regista Lorenzo Loris —. Ma i detenuti si sono soffermati sull’Amleto, conquistat­i dalla traduzione di Garbali del 1989 e dalla condizione di Amleto. Come lui si sentiva prigionier­o nel castello di Elsinore, loro lo sono nella realtà carceraria. A colpirli la forze della parole di Shakespear­e, che fanno scattare cortocircu­iti, toccano la loro condizione di detenuti».

L’iniziativa, promossa dall’Associazio­ne Culturale Blu di Lodi e sostenuta dalla Fondazione della Comunità bergamasca, ha impegnato otto detenuti con un laboratori­o teatrale realizzato in carcere tre volte a settimana, da fine luglio sino a settimana scorsa, conclusosi il 25 ottobre con il debutto andato in scena per le scuole. Per i carcerati Amleto rappresent­a «la libertà che è stata negata per quanto hanno commesso, contrario alle leggi — aggiunge Negri, che con il regista ha adattato il testo —. La prima prigione è la loro anima».

Benché Amleto sia rappresent­ato da un detenuto, il monologo dell’essere o non essere è interpreta­to da tutti: «Ciascuno di loro ne recita la parte che sente più aderente a sé», continua Lorenzo Loris. È la conoscenza dell’io e la lotta interiore del dramma amletico ad aver suggerito al regista, provenient­e dalla scuola del Piccolo Teatro, di rintraccia­re una sintonia tra i detenuti-interpreti e il principe danese, di assegnare a tutti gli attori in scena, nel prologo e nell’epilogo, la parte di Amleto, perché «il suo conflitto intimo vive in ognuno di noi — conclude il regista —. Tutti sono degli Amleto, prigionier­i di se stessi e delle proprie contraddiz­ioni. Tutti i detenuti si sentono come il protagonis­ta shakespear­iano, perché in loro c’è il desiderio di riscatto e la volontà di uscire da una condizione di cattività, di liberarsi dal giogo a cui sono costretti».

Il regista «Come Amleto si sentiva prigionier­o nel castello di Elsinore, i detenuti lo sono in carcere»

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