Centro Piacentiniano tra storia e smart-city
Bianco e Zigoi: il cuore di Bergamo deve ritrovare il ruolo di porta sulla modernità
La città è come un grande libro di pietra e le architetture sono pagine eloquenti dalle quali si può rileggere la sua storia. La metafora ottocentesca di Victor Hugo vale ancor oggi e ci dice che la storia è scritta nell’architettura di una città. Dalla sua lettura è quindi possibile rispolverare la memoria del passato per proiettarla nel futuro. Questo vale in particolare per quelle parti di città che, come il Centro Piacentiniano, hanno giocato un ruolo fondamentale nell’evoluzione urbana. Al cuore di Bergamo Bassa è dedicato un libro che raccoglie il risultato della ricerca condotta dal corso di Fondamenti della rappresentazione del Politecnico di Milano dal 2010 al 2015. Alessandro Bianchi e Massimiliano Zigoi, autori della pubblicazione, sono i docenti universitari che hanno diretto la ricerca su Bergamo e che, in precedenza, avevano sviluppato studi analoghi su Piazza Vittoria a Brescia e Piazza Monte Grappa a Varese.
Da un certo punto di vista il centro del capoluogo bergamasco conclude idealmente una triade di luoghi urbani tra loro diversi ma legati da essenziali elementi comuni. I tre casi di studio risalgono agli anni ‘30 del secolo scorso e sono il frutto di progetti permeati da una visione urbana in cui è evidente l’importanza data alla percezione dello spazio, al rapporto fra le diverse scale del contesto (architettura, spazio aperto, città), alla relazione fra tipologia edilizia e forma urbana. Il Centro Piacentiniano, da questo punto di vista, è un caso emblematico ricco anche di potenzialità. Come ricordano Bianchi e Zigoi è un luogo «che vuole continuare ad essere vivo e concretizzare la propria dinamicità urbana nelle sfide del futuro, tra storia e smart-city». E la loro ricerca vuole ribadire questo ruolo, pur appannato negli ultimi anni, nella consapevolezza che rileggere il corso del tempo approfondisce la conoscenza e può anche essere la base per pianificare il futuro. Il libro si divide in tre parti. La prima indaga le tracce del passato e riassume gli antefatti della Bergomum antica, del Prato di Sant’Alessandro e della Fiera che qui venne costruita. Nella seconda si condensa il focus della ricerca: dal «Progetto panorama», firmato da Piacentini e Quaroni e vincitore del concorso del 1907, si arriva all’analisi di dettaglio delle architetture di ogni edificio realizzato dall’architetto romano in collaborazione con nomi autorevoli, come Giovanni Muzio e Luigi Angelini.
I fronti architettonici, misurati con un metodo che mescola rilievi strumentali e rielaborazioni fotografiche, sono stati sottoposti a letture funzionali e percettive, formali e proporzionali. Lo scandaglio della ricerca ha permesso di portare alla luce le griglie geometriche delle facciate, gli assi ordinatori e i rapporti di proporzione che sono alla base delle regole della composizione architettonica degli edifici. La terza parte è un invito alla «rinascita» del Centro Piacentiniano e alla prosecuzione del suo esempio. La comparazione dei vari edifici del centro mette in evidenza analogie progettuali ed elementi ricorrenti dai quali è possibile dedurre regole di composizione urbana e percettiva che sono valori da tener ancora presenti. Non manca un richiamo al progetto vincitore del concorso lanciato dal Comune di Bergamo nel 2017 con la constatazione che la sua visione strategica rispetta i principi originari del «Progetto Panorama» — in un certo senso entra in sintonia con lo spirito del luogo — e cerca di ampliarne il significato e la portata.
Il centro della città bassa è un luogo che vuole continuare ad essere vivo e concretizzare la propria dinamicità urbana nelle sfide del futuro