Cibo e disturbi «Presto un centro specializzato»
Dieci posti a Piario. 1400 in cura dal 2008
Si muore, di disturbi del comportamento alimentare. Su 1.405 casi di bergamaschi in cura con diagnosi di Dca tra il 2008 e il 2017, quattro sono deceduti per cause riconducibili all’anoressia. Per altri 40 decessi, invece, i disturbi hanno avuto un ruolo in un quadro clinico comunque articolato e complesso. Sono solo alcuni dei numeri che emergono dal nuovo studio del servizio epidemiologico dell’Ats di Bergamo, presentato ieri in vista di un convegno che si terrà dopodomani sul tema. «Dobbiamo capire certe patologie e organizzarci per prevenirle», dichiara la direttrice generale Mara Azzi. Intanto sul territorio si pensa a un centro specializzato proprio per la cura dei Dca. Potrebbe essere realizzato a Piario, dove il 13 ottobre è stato chiuso il punto nascita. «A gennaio il bando, poi auspichiamo che i lavori possano procedere spediti», dicono dall’Asst Bergamo Est.
«Mangia, ti prego». Oppure: «Smettila di mangiare, ti prego». Piatti che rimangono intatti davanti a bocche che si chiudono o che si aprono troppo come le porte dei frigoriferi presi d’assalto. Infinite suppliche, come se tutto potesse risolversi con un etto in più di spaghetti trangugiati o con due fette di Saint Honoré in meno, senza capire che chi si ha di fronte è una persona malata, una figlia ma anche un figlio — perché i maschi non sono esenti, se ne contano 15 ogni 85 femmine — in preda ad un disagio in cui il cibo non è il primo, ma l’ultimo dei problemi. Alle prese, cioè, con un Dca, acronimo di disturbo del comportamento alimentare: anoressia e bulimia nervosa e altre forme non altrimenti specificate (Nas) ma con sintomi identificabili che si insinuano in nomi terribili, dall’ortoressia (l’ossessione per i cibi puri) alla vigoressia (chi usa smodatamente integratori e steroidi) o al binge eating disorder (quando si mangia tutto il mangiabile e poi si vomita a più non posso).
Patologie che anche in passato non erano sconosciute, se è vero che Ats nel presentare lo studio epidemiologico (prodromico al convegno che lo illustrerà dopodomani dalle ore 8.30 alle 13 nella sede di via Galliccioli) ha utilizzato un’immagine di Santa Caterina da Siena, testimonial medievale di un digiuno ascetico difficilmente paragonabile, però, ai Dca della modernità. Pochi, ai tempi della patrona d’Italia, avevano accesso a quell’abbondanza che permette il lusso dell’astinenza o dell’abuso volontario, ed è anche per questo che ancor di più oggi le patologie risultano di difficile comprensione. «E, invece, dobbiamo capirle e organizzarci per prevenirle», evidenzia Mara Azzi, direttore generale dell’Ats di Bergamo che mette in fila tutti i soggetti chiamati a contribuire con un’alleanza sinergica, a fronteggiare il problema: «Scuole, lavoro, famiglia, servizi sociali e ospedali». Chiamati cioè a riconoscere il male dove si annida e a «costituire una rete».
Per prevenire, certo, ma anche per curare perché di Dca si può morire ma anche guarire. I decessi decisamente ed univocamente riconducibili all’anoressia sono stati 4 nel periodo preso in esame, dal 2008 al 2017 sui 1.405 casi di bergamaschi con una diagnosi di Dca — (altri 40 decessi hanno visto il Dca come patologia presente in un quadro clinico complesso, ma non in diretto nesso causale con la morte). Quanto alla guarigione ciò avviene — in via generale — nel 60% dei casi ma, nel caso di una cronicizzazione, si può puntare a conviverci con una buona qualità di vita. Un fine secondario, rispetto a quello primario: riconoscere tempestivamente la malattia. Pur nella sua parzialità (che non tiene conto di ricoveri e cure private), realizzata da Alberto Zucchi, direttore del Servizio epidemiologico dell’Ats, la mappatura che vede Bergamo moderatamente superiore alla media nazionale come prevalenza generale di popolazione (0,12%), serve a questo. Mediamente si ammalano di disturbi dell’alimentazione 140 persone all’anno, l’incidenza è di 12,3 casi ogni 10 mila abitanti, con casi di anoressia pari al 5,5 ogni 10 mila abitanti e di bulimia al 2,2. Entrambi i disturbi risultano sensibilmente più elevati nella fascia d’età che va dai 15 ai 34 anni: in questo range l’anoressia fa registrare un tasso di 17,2 casi ogni 10 mila abitanti, la bulimia del 5,7 e infine le altre tipologie si fissano a 6,3 casi. Il totale di 29,1 casi ogni 10 mila abitanti in questa fascia, dove prevalentemente le patologie Dca si manifestano, pone ancora Bergamo sopra la media italiana. Il primo contatto con le strutture sanitarie si colloca in media verso i 18 anni per l’anoressia e verso i 21 per la bulimia.
In riferimento alla territorialità, la zona più impattante dall’anoressia risulta Bergamo città (6,7 casi ogni 10 mila), seguita dalla Val Seriana (4,3), mentre il tasso più elevato di bulimia si presenta nell’ambito di Treviglio (2,8). Questo non significa che nell’Isola o in Val Brembana non ci si ammali, ma i fattori che entrano in campo e che non aiutano le statistiche possono essere molteplici. Tra tutti, proprio la difficoltà di riconoscere la malattia, di nominarla e di attraversarla in un cammino che Ats si propone di agevolare, puntando ad una sempre maggior sensibilizzazione e con progettualità dedicate.
Le diverse forme Anoressia, bulimia, ma anche binge eating e vigoressia possono portare alla morte
❞ Il tema va affrontato con scuola, famiglie, lavoro, servizi sociali e ospedali Mara Azzi dg Ats