Il convertito all’islam Giallo sui post illeggibili
Rinviato a giudizio per istigazione: rischia più di 8 anni. Il giallo della perizia: i suoi post non più leggibili
Va a processo Icaro Masseroli, nome islamico Bilal, papà di Pradalunga. È accusato di istigazione al terrorismo, rischia più di otto anni, a causa di una serie di post su Facebook e Tweet. Ma il perito nominato dal giudice ha svelato che l’hard disk su cui c’erano le prove non è più leggibile.
«Il mio assistito va a processo per aver scelto la fede islamica, nonostante sia una persona assolutamente pacifica»: a parlare è Valentina Carminati, dopo il rinvio a giudizio decretato ieri dal giudice dell’udienza preliminare di Brescia per Icaro Masseroli, 30 anni, papà di Pradalunga originario di Castione della Presolana. Il suo nome era già balzato più volte alle cronache soprattutto per le inchieste che riguardavano altri fedeli musulmani ritenuti sospetti, con cui era entrato in contatto. Ma lui non ha mai rinunciato a spiegare, anche in un’intervista al Corriere: «Ho sempre e solo avuto il desiderio di capire».
Nel 2011 Icaro Masseroli si era convertito all’Islam con il nome di Bilal. Sette anni dopo andrà a processo con rischi alti: è accusato di istigazione a commettere reati con finalità terroristiche attraverso strumenti informatici o telematici, cinque anni di pena base incrementata di due terzi, quindi fino a otto anni e 4 mesi di reclusione. A portarlo nelle aule di giustizia è un’inchiesta della Direzione distrettuale antimafia di Brescia
❞ Icaro Masseroli va a processo solo per aver scelto la fede islamica, non per altro. È un processo che mette davvero in discussione la libertà di opinione e del proprio credo Valentina Carminati Avvocato
(competente sul terrorismo) e della Digos di Bergamo, un fascicolo intrecciato alla storia di Masseroli: la conversione nel 2011, le nozze successive con una ragazza albanese di Pozzo d’Adda, l’espulsione dall’Italia del cognato, ritenuto troppo vicino a posizioni jihadiste, i viaggi al Cairo per studiare l’arabo fino al 2015, quando fu bloccato (era la fine del quarto viaggio) all’aeroporto per due giorni interi dalle autorità egiziane, insieme alla moglie, prima di salire su un volo per rientrare in Italia, con l’ordine di non tornare più per almeno cinque anni.
Le perquisizioni in casa avevano consentito alla Digos di raccogliere materiale informatico dai computer e dal telefono di Masseroli. Soprattutto post su Facebook e, sullo smartphone, anche un libro di matematica dell’Isis, in cui per esempio i calcoli si fanno con le bombe o con i nemici. Ed è dai contenuti sui social che si è arrivati al capo d’imputazione: «Fattivo promotore delle radicali e criminali posizioni e azioni dell’estremismo violento jihadista e del gruppo terroristico Isis». «Si trattava soprattutto di post su Facebook e di profili Twitter che Icaro visitava, in particolare nel periodo che va dalla proclamazione di indipendenza dell’Isis, giugno 2014, fino all’anno successivo, quando ci fu la condanna ufficiale della comunità internazionale — specifica il suo avvocato —. Ma non ci sono mai state sue affermazioni in favore della violenza, assolutamente. Anzi, al di là della curiosità iniziale, si è sempre dissociato dall’Isis. Per esempio, aveva postato alcune foto di un tribunale e di una scuola dello Stato islamico, che poi ha puntualmente cancellato. Nella nostra memoria difensiva anche i suoi ex colleghi della cooperativa Ruah ne parlano come una persona pacifica. Si è persa, con il rinvio a giudizio, un’ulteriore occasione per chiudere una vicenda che ha assunto i toni di una persecuzione. Questo processo mette in discussione la libertà di espressione del proprio pensiero politico e del proprio credo».
Ma quali prove ci saranno, a processo? Nel tentativo di ottenere un proscioglimento il difensore aveva ottenuto dal gup una perizia sul materiale informatico. Il parere dell’esperto nominato dal giudice non è entrato nel merito: con più computer e software non è stato infatti possibile
I contenuti Foto sull’Isis e profili Twitter sospetti. La difesa: «Voleva solo informarsi»
leggere i contenuti dell’hard disk su cui era stato copiato tutto il materiale a carico di Masseroli. «Volevamo dimostrare — commenta l’avvocato — che molti dei contenuti di Twitter contestati erano stati solo visitati dall’imputato, non erano suoi. E ora, se quell’hard disk non è leggibile, mi chiedo da quali elementi dovremo difenderci a processo».