Corriere della Sera (Bergamo)

Marcorè: «Il mio omaggio a De André»

- Daniela Morandi © RIPRODUZIO­NE RISERVATA

Sulla sua strada d’artista ha già incontrato Fabrizio De Andrè. Per lo spettacolo di teatro canzone «Quello che non ho» ha indagato la forza poetica del cantastori­e genovese, impastando­la a quella di Pier Paolo Pasolini e altri uomini di cultura, per parlare di attualità.

Oggi Neri Marcorè indossa di nuovo i panni del cantante che imbraccia la chitarra per accostarsi «all’amico fragile» e omaggiarlo, con il concerto «Come una specie di sorriso», atteso stasera alle 21 al Creberg. Il titolo prende in prestito un verso del testo «Il pescatore», che «non doveva essere in scaletta, poi l’abbiamo messo strada facendo e usato anche come titolo, perché mi sono avvicinato al canto in modo ironico. Con quel sorriso voglio dire al pubblico di non prendermi troppo sul serio», racconta l’artista. Alle soglie del ventennale della morte di De Andrè, venuto a mancare l’11 gennaio 1999, Marcorè fa una scelta controcorr­ente: «In repertorio non ho messo le canzoni che si cantano spesso, ma una ventina di testi scelti in base al gusto personale, come fosse una scaletta selezionat­a su Spotify per ascoltarla per proprio conto. Ma la dimensione collettiva del teatro è tutt’altra cosa. È un atto di comunione, in un tempo in cui si è asfittici e alle prese con gli smartphone. È un atto di condivisio­ne delle emozioni. Così in scaletta non ci sono La guerra di Piero o Marinella. Preferisco pescare tra pezzi meno ascoltati come Giugno ’73 o Anime salve. Dall’ultimo disco si è preso parecchio — dice —. C’è anche Hotel Supramonte, le canzoni in genovese come Creuza de ma e Khorakhanè, che è un gruppo rom, popolo diviso a seconda di antichi mestieri, il che sfata l’idea di gente dedita solo al rubare. È un testo pieno di umanità, che guarda agli altri come persone, non come categorie da combattere».

Marcorè, in scena con lo GnuQuartet, che ha arrangiato in modo originale i brani, alternerà parole e musica. «Interprete­rò le sue canzoni, portatrici di significat­i attuali, oggi più che mai. Si parla di ultimi, emarginati e scomodi, in un tempo in cui si argina chi è considerat­o capro espiatorio dei nostri limiti — aggiunge —. De Andrè invece ci dice di mettere in discussion­e se stessi prima degli altri, fa riflettere sulle proprie responsabi­lità». E chissà cosa avrebbe cantato alla gente di Genova, afflitta dal crollo del ponte.

«Forse è Dolcenera il testo che parla di questi disastri. Scrisse questa canzone per parlare dell’alluvione di Genova del ’70, che con le sue acque limacciose trascinò vite umane, detriti e fango — conclude Marcorè —. Questione che in questi giorni non riguarda solo la Liguria, ma anche la Sicilia, il Friuli, il Veneto. Tra crolli di ponti o costruzion­i abusive o casi in cui l’opera dell’uomo sottovalut­a la forza della natura, lo sport nazionale è dare le colpe agli altri. Siamo sempre inclini ad assolverci, mentre come disse Fabrizio De Andrè “anche se voi vi credete assolti siete lo stesso coinvolti”».

Scaletta L’attore canta il paroliere genovese: «Nel repertorio i pezzi meno famosi»

Testi «Le canzoni che parlano di emarginati e scomodi hanno un significat­o attuale»

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