Mario Botta e l’architettura: «Centralità dell’uomo in dialogo con il progetto»
«Eravamo quattro amici attorno al tavolo della discussione dell’architettura, con visioni differenti sul mondo. C’erano Livio Vacchini, finto aristocratico, che guardava alla realtà ricercando finalità classiche, Aurelio Galfetti, interessato alla dinamicità e al fare e Luigi Snozzi, schierato politicamente, che piegava il fatto architettonico alla speculazione ideologica». A raccontare è il quarto uomo: Mario Botta, intervenuto ieri in Università per la presentazione del libro «Architettura come amicizia» di Marco Adriano Perletti. Le dissertazioni dell’autore, intento a illustrare genesi e struttura del testo, diviso tra teoria, didattica e pratica del progetto, esaminando le opere dei 4 architetti, hanno lasciato spazio alle testimonianze di Botta e Eloisa Vacchini, figlia di Livio. Così, quella che sembrava una lezione filosofica sull’architettura, che scandagliava i rapporti tra processo creativo e natura, tra contesto e architettura, si è trasformata in una conversazione dove il privato è diventato pubblico. Botta ha ricordato lo spirito d’amicizia che lo legava a Galfetti, Vacchini e Snozzi: «La nostra era una solidarietà professionale, senza unità di vedute né di classe. Il nostro legante era la passione e il non prendersi mai sul serio». Il racconto è andato alle origini del suo fare architettura, al 1964, quando fu illuminante «l’incontro con Le Corbusier a Venezia. Era venuto per progettare l’ospedale e io cercai di prendere al volo questa occasione perché volevo lavorare con lui — dice Botta —. Con astuzia contadina ci riuscii, così misi un piede nella storia dell’architettura, proseguita poi incontrando Louis Kahn e Carlo Scarpa. Tornato al paese portai la mia esperienza: il pragmatismo svizzero sentì il profumo della cultura italiana». In omaggio alla cultura mediterranea nacque nel 1996 l’Accademia di Architettura di Mendrisio, «in contrasto con il Politecnico di Zurigo — continua —. Loro erano ubriacati dal mondo virtuale e dal pc, noi dalla centralità dell’uomo in dialogo con il progetto. L’Accademia è un debito di riconoscenza che la nostra generazione e amicizia ha verso i secoli di migrazioni e carpentieri che dalla terra dei laghi sono partiti per i cinque continenti». Infine, riconoscendo la difficoltà del professare oggi, rivolgendosi ai giovani architetti, Botta ha ripreso alcune parole del filosofo Paul Virilio: «Nella rapidità di trasformazione che travolge la vita non c’è un vettore del tempo direttamente proporzionale alla memoria . Più c’è velocità, più c’è oblio. Dovete lavorare sul territorio della memoria».