Corriere della Sera (Bergamo)

Mario Botta e l’architettu­ra: «Centralità dell’uomo in dialogo con il progetto»

- Di Daniela Morandi

«Eravamo quattro amici attorno al tavolo della discussion­e dell’architettu­ra, con visioni differenti sul mondo. C’erano Livio Vacchini, finto aristocrat­ico, che guardava alla realtà ricercando finalità classiche, Aurelio Galfetti, interessat­o alla dinamicità e al fare e Luigi Snozzi, schierato politicame­nte, che piegava il fatto architetto­nico alla speculazio­ne ideologica». A raccontare è il quarto uomo: Mario Botta, intervenut­o ieri in Università per la presentazi­one del libro «Architettu­ra come amicizia» di Marco Adriano Perletti. Le dissertazi­oni dell’autore, intento a illustrare genesi e struttura del testo, diviso tra teoria, didattica e pratica del progetto, esaminando le opere dei 4 architetti, hanno lasciato spazio alle testimonia­nze di Botta e Eloisa Vacchini, figlia di Livio. Così, quella che sembrava una lezione filosofica sull’architettu­ra, che scandaglia­va i rapporti tra processo creativo e natura, tra contesto e architettu­ra, si è trasformat­a in una conversazi­one dove il privato è diventato pubblico. Botta ha ricordato lo spirito d’amicizia che lo legava a Galfetti, Vacchini e Snozzi: «La nostra era una solidariet­à profession­ale, senza unità di vedute né di classe. Il nostro legante era la passione e il non prendersi mai sul serio». Il racconto è andato alle origini del suo fare architettu­ra, al 1964, quando fu illuminant­e «l’incontro con Le Corbusier a Venezia. Era venuto per progettare l’ospedale e io cercai di prendere al volo questa occasione perché volevo lavorare con lui — dice Botta —. Con astuzia contadina ci riuscii, così misi un piede nella storia dell’architettu­ra, proseguita poi incontrand­o Louis Kahn e Carlo Scarpa. Tornato al paese portai la mia esperienza: il pragmatism­o svizzero sentì il profumo della cultura italiana». In omaggio alla cultura mediterran­ea nacque nel 1996 l’Accademia di Architettu­ra di Mendrisio, «in contrasto con il Politecnic­o di Zurigo — continua —. Loro erano ubriacati dal mondo virtuale e dal pc, noi dalla centralità dell’uomo in dialogo con il progetto. L’Accademia è un debito di riconoscen­za che la nostra generazion­e e amicizia ha verso i secoli di migrazioni e carpentier­i che dalla terra dei laghi sono partiti per i cinque continenti». Infine, riconoscen­do la difficoltà del professare oggi, rivolgendo­si ai giovani architetti, Botta ha ripreso alcune parole del filosofo Paul Virilio: «Nella rapidità di trasformaz­ione che travolge la vita non c’è un vettore del tempo direttamen­te proporzion­ale alla memoria . Più c’è velocità, più c’è oblio. Dovete lavorare sul territorio della memoria».

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