Corriere della Sera (Bergamo)

Banksy Se l’arte ribelle finisce al museo

- Francesca Bonazzoli

Fa impression­e vedere esposti i lavori di Banksy in un museo, trattati come quadri di un artista accademico, incornicia­ti, illuminati con fari che non li danneggino, allestiti da un architetto che ne cura la resa estetica. Tutto il contrario di ciò che avviene in strada. Fa impression­e, anche, la lunga lista di marchi industrial­i, e persino di una società finanziari­a, che sostengono la mostra. L’inglese Banksy è infatti il writer che più si è impegnato contro il sistema economico, etico e di potere sovvertend­olo, nell’era della visibilità, anche attraverso il suo anonimato scelto prima per necessità di non essere arrestato,

Come una trappola La mostra al Mudec è un’operazione straniante per un artista che contesta il sistema

poi come strategia per garantirsi l’indipenden­za. Dunque non autorizzat­a dall’artista, quella che apre oggi al Mudec è una mostra straniante per le contraddiz­ioni che fa esplodere. Anche quelle dello stesso artista che contesta il mercato lasciando gratuitame­nte i suoi disegni sui muri, ma nello stesso tempo, come tutti sanno dopo il clamore della sua opera autodistru­tta di recente battuta all’asta da Sotheby’s, ha ormai raggiunto quotazioni che pochi possono permetters­i.

Il fatto è che quando si raggiunge la popolarità diventa impossibil­e sottrarsi al sistema. Persino il pubblico entrerà a pieno titolo in questa spirale di contraddiz­ioni e l’unico modo per restare fuori da ogni complicità potrebbe essere quello di non andare alla mostra. Ma sarà difficile resistere. Insomma, in questo vortice di ambiguità, l’unica cosa certa è l’autenticit­à dei circa 80 lavori esposti accompagna­ti, nell’ultima sezione, da oggetti fotografie, video, copertine di dischi (tra cui quella con i due innamorati che si abbraccian­o con scafandri da palombari per «Think Tank» dei Blur) la famosa e memorabili­a come le locandine della mostra del 2009 al Bristol Museum, quella sì direttamen­te organizzat­a dallo street artist dopo che la direzione acconsentì a privare il museo di ogni tipo di sorveglian­za per i due giorni dell’allestimen­to e a garantire l’accesso gratuito.

«Banksy ha raccolto l’insegnamen­to di Warhol, guru delle strategie comunicati­ve, e uguagliato il genio di Cattelan», sostiene il curatore Gianni Mercurio. «Certo il sistema tende ad assorbire il contenuto di protesta. E tuttavia, mentre gli altri street artist ormai escono dalle accademie, Banksy ha mantenuto l’originario spirito ribelle e l’interesse per il messaggio».

Il percorso espositivo si snoda per temi: la controegem­onia della strada rispetto a tv, cinema, pubblicità, scuole e musei; la satira contro la guerra e le armi; il consumismo. Un focus è dedicato ai ratti, alter ego dei graffitist­i che, con vernice e pennelli, diventano scassinato­ri, rapper, operai, sabotatori: «Sono odiati, braccati e perseguita­ti. Vivono in una tranquilla disperazio­ne nella sporcizia. Eppure sono in grado di mettere in ginocchio l’intera civiltà», dichiara Banksy. Per prenderlo in trappola si è persino fatto ricorso alla tecnica del «profilo geografico» utilizzata dalla polizia, ma lui, invisibile come un super eroe, continua a schivare a ogni esca avvelenata. Per questo non crediamo alla voce che darebbe possibile la sua presenza alla mostra, camuffato da barbone. Difficile anche che si pieghi a pagare un ingresso di ben 14 euro.

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In cornice Nella foto grande «Girl with red balloon» e alcune delle 80 opere esposte nella mostra non autorizzat­a dallo street artist inglese di cui non si conosce la vera identità

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