Banksy Se l’arte ribelle finisce al museo
Fa impressione vedere esposti i lavori di Banksy in un museo, trattati come quadri di un artista accademico, incorniciati, illuminati con fari che non li danneggino, allestiti da un architetto che ne cura la resa estetica. Tutto il contrario di ciò che avviene in strada. Fa impressione, anche, la lunga lista di marchi industriali, e persino di una società finanziaria, che sostengono la mostra. L’inglese Banksy è infatti il writer che più si è impegnato contro il sistema economico, etico e di potere sovvertendolo, nell’era della visibilità, anche attraverso il suo anonimato scelto prima per necessità di non essere arrestato,
Come una trappola La mostra al Mudec è un’operazione straniante per un artista che contesta il sistema
poi come strategia per garantirsi l’indipendenza. Dunque non autorizzata dall’artista, quella che apre oggi al Mudec è una mostra straniante per le contraddizioni che fa esplodere. Anche quelle dello stesso artista che contesta il mercato lasciando gratuitamente i suoi disegni sui muri, ma nello stesso tempo, come tutti sanno dopo il clamore della sua opera autodistrutta di recente battuta all’asta da Sotheby’s, ha ormai raggiunto quotazioni che pochi possono permettersi.
Il fatto è che quando si raggiunge la popolarità diventa impossibile sottrarsi al sistema. Persino il pubblico entrerà a pieno titolo in questa spirale di contraddizioni e l’unico modo per restare fuori da ogni complicità potrebbe essere quello di non andare alla mostra. Ma sarà difficile resistere. Insomma, in questo vortice di ambiguità, l’unica cosa certa è l’autenticità dei circa 80 lavori esposti accompagnati, nell’ultima sezione, da oggetti fotografie, video, copertine di dischi (tra cui quella con i due innamorati che si abbracciano con scafandri da palombari per «Think Tank» dei Blur) la famosa e memorabilia come le locandine della mostra del 2009 al Bristol Museum, quella sì direttamente organizzata dallo street artist dopo che la direzione acconsentì a privare il museo di ogni tipo di sorveglianza per i due giorni dell’allestimento e a garantire l’accesso gratuito.
«Banksy ha raccolto l’insegnamento di Warhol, guru delle strategie comunicative, e uguagliato il genio di Cattelan», sostiene il curatore Gianni Mercurio. «Certo il sistema tende ad assorbire il contenuto di protesta. E tuttavia, mentre gli altri street artist ormai escono dalle accademie, Banksy ha mantenuto l’originario spirito ribelle e l’interesse per il messaggio».
Il percorso espositivo si snoda per temi: la controegemonia della strada rispetto a tv, cinema, pubblicità, scuole e musei; la satira contro la guerra e le armi; il consumismo. Un focus è dedicato ai ratti, alter ego dei graffitisti che, con vernice e pennelli, diventano scassinatori, rapper, operai, sabotatori: «Sono odiati, braccati e perseguitati. Vivono in una tranquilla disperazione nella sporcizia. Eppure sono in grado di mettere in ginocchio l’intera civiltà», dichiara Banksy. Per prenderlo in trappola si è persino fatto ricorso alla tecnica del «profilo geografico» utilizzata dalla polizia, ma lui, invisibile come un super eroe, continua a schivare a ogni esca avvelenata. Per questo non crediamo alla voce che darebbe possibile la sua presenza alla mostra, camuffato da barbone. Difficile anche che si pieghi a pagare un ingresso di ben 14 euro.