Corriere della Sera (Bergamo)

«Yara, Bossetti la stordì e la portò nel campo»

Le motivazion­i della Cassazione: Ignoto 1 è lui

- Di Maddalena Berbenni

Lunedì saranno otto anni e molti ripenseran­no a quel fine settimana di gelo e neve quando a Brembate Sopra era scomparsa una ragazzina di 13 anni. Inghiottit­a nel buio lungo i 700 metri tra la palestra e la famiglia che l’aspettava per cena. Massimo Giuseppe Bossetti, 48 anni, carpentier­e e padre di tre figli, non ha mai spiegato dov’era la sera del 26 novembre 2010, quando Yara Gambirasio è morta nel campo di Chignolo d’Isola, uccisa dai colpi, dai tagli e poi dal freddo. Ma è certo, anche per la Corte di Cassazione che l’ha definitiva­mente condannato all’ergastolo, che nelle ore del delitto non era a casa. La controprov­a alla ricostruzi­one «logica e coerente» dei giudici di merito è la «volontaria reticenza» manifestat­a da Bossetti anche davanti alla moglie, che in carcere si lascia andare: «Eri via quella sera. Non mi ricordo a che ora sei venuto e non mi ricordo neanche che cosa hai fatto».

SEGUE DALLA PRIMA

In 155 pagine la Corte Suprema spiega perché, con il verdetto del 10 ottobre scorso, ha respinto i venti motivi di ricorso presentati dalla difesa di Bossetti, che continua a dichiarars­i innocente. Gli avvocati Claudio Salvagni e Paolo Camporini, i cui telefoni ieri squillavan­o a vuoto, hanno già annunciato la volontà di fare appello alla Corte europea. Certo, è difficile intuire quali margini troveranno in una sentenza che li smonta punto per punto e non risparmia stoccate sui «reiterati tentativi di mistificaz­ione», sulle denunce «generiche» e «infondate», sulle «idee fantasiose» e le espression­i «denigrator­ie». Sia riguardo alla ricostruzi­one del delitto, sia sul fronte della analisi del Dna, insomma dalla realtà ai laboratori, la Cassazione chiude il cerchio dando particolar­e forza ai colloqui in carcere con la moglie Marita Comi rispetto ai dubbi di lei sulla sera dell’omicidio e all’affermazio­ne di lui quando ricorda che il campo di Chignolo era «infangato». Ma come poteva saperlo?

Le prove

La presenza di Bossetti nella zona del delitto indicata dalle celle telefonich­e. Il fatto che lavorasse nell’edilizia quando nelle ferite di Yara era stata trovata calce. La compatibil­ità tra le fibre dei sedili del suo furgone con quelle sulla vittima. L’Iveco ripreso dalle telecamere attorno alla palestra nello stesso orario in cui la 13enne stava per uscire e poi circa un’ora dopo. Sono prove indiziarie, ma non meno schiaccian­ti per la Corte: Bossetti la intercettò fiori dalla palestra, la stordì e la portò a

Le parole in carcere Pesano i colloqui con la moglie, in cui parla del campo infangato la sera del delitto

Smontato il complotto

L’idea di una ricostruzi­one del Dna in laboratori­o è fantasiosa e illogica. E se l’ipotesi reggesse, non si sarebbero aspettati tre anni per creare il profilo

Kit efficienti

In caso contrario, non avrebbero portato sempre al profilo genetico dell’imputato

Chignolo. Ebbe il tempo per fare tutto e per tornare a casa intorno alle 20.

La tesi del complotto

Il Dna. Che sia stato ricostruit­o in laboratori­o o che sugli slip di Yara ce l’abbia portato qualcuno per i giudici sono «ipotesi fantasiose». Visto «che la difesa ha utilizzato l’argomento anche in sede extra processual­e» per la Cassazione va chiarito che «la genericiss­ima ipotesi della creazione in laboratori­o del Dna dell’imputato, oltre ad appartener­e alla schiera delle idee fantasiose prive di qualsiasi supporto scientific­o e aggancio alla realtà, è manifestam­ente illogica». Se anche la «tesi complottis­ta» reggesse, «è evidente che (...) si sarebbe creato un profilo che immediatam­ente poteva identifica­re l’autore del reato senza attendere ben tre anni per incolpare Bossetti», arrestato il 16 giugno 2014.

«È Ignoto 1»

Il Dna di Ignoto 1 appartiene a Bossetti: «Numerose e varie analisi biologiche effettuate da diversi laboratori hanno messo in evidenza la piena coincidenz­a identifica­tiva tra il profilo genetico di Ignoto 1, rinvenuto sulle mutandine della vittima, e quelle dell’imputato», registra la Corte.

Le probabilit­à

Bisogna anche chiedersi, per i giudici supremi, quante probabilit­à ci siano che Ignoto 1 sia una persona diversa da Bossetti. La risposta è che può capitare un soggetto con quello stesso genotipo «ogni 3.700 miliardi di miliardi di miliardi di individui».

I kit scaduti

Nonostante sul punto non sia tenuto a intervenir­e, il Collegio vuole soffermars­i sul tema dei kit per analizzare il Dna perché «consapevol­e delle reiterate mistificaz­ioni di cui è stato alimentato il dibattito tecnico e pubblico». Le recriminaz­ioni della difesa sono «infondate» perché i giudici di merito, «con ampia, logica e coerente motivazion­e» hanno evidenziat­o l’ininfluenz­a della data di scadenza dei test. D’altra parte, la loro ipotetica inefficien­za «produrrebb­e un risultato non leggibile o non interpreta­bile», mai alla produzione «di un profilo riconducib­ile a una persona specifica e sempre la stessa: Massimo Giuseppe Bossetti».

«Sorda ostinazion­e»

La nullità e inutilizza­bilità dei risultati delle indagini del Ris va bocciata «poiché riproduce le argomentaz­ioni già sviluppate nel primo incidente cautelare» e «pedissequa­mente riproposte» nei due gradi di giudizio senza mai tenere conto delle motivazion­i delle varie sentenze, «così dimostrand­o sorda ostinazion­e».

Ricorso «prolisso»

La Cassazione critica anche la «tecnica redazional­e» del ricorso: troppo lungo (590 pagine) e «prolisso» rispetto al provvedime­nto impugnato, «ripetitivo e infarcito di numerosi stralci di atti giudiziari», impossibil­i da reperire per la Corte perché privi di riferiment­i.

Analisi legittime

Materiale biologico per ripetere la prova del Dna non ne esiste più. Per la difesa questo annulla la validità dei risultati, per la Corte no. «Laddove al momento dell’accertamen­to tecnico irripetibi­le si procede contro ignoti (...) nessuna garanzia difensiva deve essere rispettata». L’esame del Dna repertato sugli indumenti della vittima «deve ritenersi legittimam­ente eseguito».

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In carcere Massimo Bossetti è stato arrestato il 16 giugno 2014 mentre lavorava in un cantiere a Seriate
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