Corriere della Sera (Bergamo)

L’ILLOGICO COMPLOTTO

- di Riccardo Nisoli

Ci sarà pure una ragione se i giudici della Suprema Corte, nel motivare l’ergastolo a Massimo Bossetti per l’omicidio di Yara, si soffermano sulla tesi complottis­ta. Per smontarla, usano il buon senso: scusate, ma se proprio fosse stato necessario dare in pasto all’opinione pubblica un responsabi­le, creando un Dna in laboratori­o, perché attendere tre anni prima di identifica­re l’autore del reato? E poi: sarebbe stato così facile trovare un indiziato che non aveva un alibi? Che per giunta faceva il muratore? E che è passato e ripassato col suo furgone vicino alla palestra di Brembate Sopra dove scomparve la tredicenne, senza mai spiegare perché quel pomeriggio non andò al lavoro? Dunque, «idee fantasiose prive di qualsiasi supporto scientific­o», sentenzia la Cassazione, che dedica un capitolo alla macchinazi­one «visto che la difesa ha utilizzato l’argomento anche in sede extra processual­e». E l’ha usato talmente bene che la sentenza definitiva non ha schiodato il partito innocentis­ta, alimentato dalle comparsate in tivù dei difensori. I quali, al contrario del pm che per legge non può rilasciare dichiarazi­oni su un suo processo in corso, possono dire ciò che vogliono. Peraltro in contesti televisivi dove è certamente più redditizio alimentare un mistero, piuttosto che credere a quel Dna che ha inchiodato l’imputato. Purtroppo non basterà la Cassazione per dissolvere la tesi complottis­ta. A colpi di like, Bossetti, per molti leoni da tastiera, resterà — ingiustame­nte — la vittima di una giustizia ingiusta.

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