Corriere della Sera (Bergamo)

Quei capolavori accatastat­i in due garage

Il maxi sequestro al mercante d’arte

- Berbenni

Gianfranco Cerea non era un collezioni­sta ma un mercante d’arte. I giudici del Riesame, che hanno confermato il sequestro da 25 milioni di euro, lo deducono anche dallo stato di conservazi­one delle opere.

Al di là dei tecnicismi, che Gianfranco Cerea non fosse un collezioni­sta ma un mercante d’arte lo si capisce da un fatto molto semplice, per i giudici del Riesame di Bergamo: dalle «condizioni del tutto precarie» dei capolavori sequestrat­i nei due garage in via Grumello, a Bergamo. Garage riconducib­ili alla Sife, la sua società con sede in via Verdi. Un collezioni­sta «è animato da intenti puramente contemplat­ivi», evidenzia il collegio. Non lascerebbe mai opere «in contesti ambientali nocivi alle stesse». Cerea, 57 anni, casa nel quartiere Santa Lucia, dimostra invece «una relazione molto più distaccata verso le opere medesime, tipica di colui che vede in esse un mero oggetto di commercio», sostengono i giudici.

Che Cerea fosse mercante o collezioni­sta è una discrimina­nte importante nella vicenda giudiziari­a che lo ha portato ai domiciliar­i, a ottobre, con contestual­e sequestro di 25 milioni di euro tra beni e opere. Nel motivare la conferma del provvedime­nto di sequestro impugnato dalla difesa (avvocati Raffaele Bergaglio e Andrea Garello di Milano) i giudici sposano in tutto la tesi del pm Emanuele Marchisio sulla base delle indagini del Nucleo di polizia finanziari­a ed economica della Gdf. E cioè che Cerea, dopo l’accertamen­to fiscale subito il 20 ottobre 2015, abbia avviato per «mero calcolo» la procedura della voluntary disclosure in modo da legittimar­e il suo ingente patrimonio, fatto di milioni, lingotti d’oro e opere di valore come una delle versioni del Bacio di Hayez, accumulato anche grazie ad anni di evasione fiscale. Bruegel, Canaletto, Modigliani. Trattava solo sopra un certo livello. Ci fu dunque un’iniziale «mancanza di spontaneit­à» nell’aderire alla procedura, che di per sé l’ha viziata. E poi «falsità» nelle dichiarazi­oni rispetto all’attività di compravend­ita per mezzo di società intestate anche a prestanome (12 in Italia, 7 all’estero) e sulla collocazio­ne delle opere stesse. Regge anche l’accusa di autoricicl­aggio: attraverso una finta compravend­ita con una sua facoltosa cliente, Cerea avrebbe tentato di dare una veste legale a opere per 11 milioni e 130 mila euro. (mad.ber.)

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