Scala Una storia milanese
Più che una mostra, è una storia da leggere. «La magnifica fabbrica», che inaugura domani al Museo della Scala, è la narrazione dei 240 anni di vita, curiosità e trasformazioni del teatro milanese. Si snoda fra piccoli corridoi e minuscole sale della biblioteca attraverso una sequenza di pannelli addossati alle pareti, come tante pagine di un libro. Ogni pannello un nuovo episodio della trama, dall’inaugurazione del 1778 all’ampliamento di Mario Botta: le vicende storiche, i personaggi, la facciata, l’interno, il sipario, la prima scenografia, l’introduzione dell’elettricità, la sala grande che, prima di avere le poltrone fisse, veniva utilizzata anche per tornei a cavallo, balli e carnevali. «Per ampliare visivamente lo spazio e renderlo più dinamico abbiamo scelto pannelli a fondo chiaro, intervallati da alcune inserzioni arancioni e da una pausa scenografica: in una saletta di passaggio trenta leggii disposti a semicerchio evocano un’orchestra che si anima attraverso la proiezione sovrastante di altrettante immagini storiche e contemporanee», spiega Italo Lupi che ha curato l’allestimento insieme a Marta Servetto e Ico Migliore.
Il Ridotto dei palchi ospita invece il capitolo finale (per ora) della storia con una maquette in legno in scala 1:75 dell’intero edificio, affiancata da due postazioni che forniscono informazioni attraverso la realtà aumentata. Scopriamo così che all’origine del teatro milanese ormai diventato un mito, ci furono due distruzioni e due rifiuti: le prime annoverano l’incendio del Regio Ducal Teatro, nel 1776, e l’abbattimento della chiesa di Santa Maria della Scala al cui posto sarebbe sorto il nuovo teatro in pietra. Mentre i due rifiuti furono quelli del grande architetto Luigi Vanvitelli che passò l’incarico della progettazione al suo protetto Giuseppe Piermarini, e quello del compositore Christoph Willibald Gluck che lasciò la direzione dell’inaugurazione al più giovane Antonio Salieri. Lo racconta Pierluigi Panza, curatore del percorso assieme a Fulvio Irace. Ma tante altre sono le curiosità, come il preventivo dei lavori calcolato dal Piermarini: ammontava a 494 mila lire e per la costruzione servirono meno di due anni, lo stesso tempo impiegato, dal 2002 al 2004, dall’architetto Mario Botta nell’ultima ristrutturazione, inaugurata con «L’Europa riconosciuta» di Salieri. Oppure il colore dell’interno che in origine era azzurro, poi sostituito col rosso rubino. Nei secoli cambiarono anche gli esterni con l’aggiunta di porticati e l’apertura della piazza antistante con l’abbattimento della fila di case preesistente. «La Scala è un grande camaleonte», spiega Fulvio Irace, «apparentemente sempre uguale, ma in realtà in continuo mutamento con l’ambizione di rimanere sempre “il primo teatro del mondo” come l’aveva descritto Stendhal. Una boîteà-merveilles che nasconde allo sguardo proprio le sue sorprese più radicali. Ogni volta che si interviene, come nella ristrutturazione di Mario Botta, la gente teme gli stravolgimenti, ma la verità è che la Scala non è mai stata uguale a se stessa e anche quella che vediamo oggi è il risultato degli interventi in stile neoimpero inventati negli anni Trenta dall’ingegnere capo del teatro Luigi Lorenzo Secchi».