Corriere della Sera (Bergamo)

LE CURVE COME LA TV

- Di Davide Ferrario

Il clima era quello che caratteriz­za l’attesa di certe manifestaz­ioni politiche: più che le ragioni della manifestaz­ione, il numero dei partecipan­ti, conta la possibilit­à di scontri in piazza. All’Atleti Azzurri la curiosità era nominalmen­te sulla partita, ma in realtà si voleva vedere come sarebbe andata a finire con i cori. Intanto, durante il pomeriggio, ha cominciato a circolare in rete un irridente fotomontag­gio (peraltro facilmente decodifica­bile come tale) che ha fatto fibrillare i burocrati della Figc, finché si sono accorti che era uno scherzo. Alle 20.16 i tifosi napoletani hanno intonato un timido «Odio Bergamo». Alle 20.23 in Curva Sud compare uno striscione dal contenuto imprevedib­ile: «In questa notte stellata, la mia serenata la canto per te». Alcuni cronisti si affannano a cercare indizi di discrimina­zione territoria­le.

Alle 20.27 dalla Nord parte un breve ma sonoro «Odio Napoli».

In tribuna stampa, prevedendo un’interruzio­ne anticipata della partita, qualcuno dei giornalist­i più cinici, incattivit­o dal freddo e dal mestiere, mormora: «Dai che stasera andiamo a casa presto». 20.29, squadre in campo, minuto di silenzio per Flemming Nielsen, accolto compostame­nte da entrambe le tifoserie. Alle 20.30 calcio d’avvio: come un sol uomo la Nord intona un tonante «Noi non siamo napoletani». Ma appena il coro finisce, la nemesi: il Napoli segna e la curva ha altro di cui preoccupar­si. Per il resto del primo tempo, sporadici «Odio Bergamo» e «Odio Napoli».

Il linguista nota con curiosità che sono le uniche due città di serie A (insieme a Genova) che, col loro nome sdrucciolo, consentono di rispettare la ritmica dello slogan. Alle 20.44 dalla curva ospiti parte una specie di coro-harakiri: «O Vesuvio lavaci col fuoco» (ma potrebbe essere «lavali», il che pone serie domande sulle conoscenze geografich­e dei partenopei). A metà del tempo arriva dalla Nord un temuto «Ancelotti terù», ma dura poco. Un cronista napoletano accanto a me si scalda: «Ma stanno dicendo terùn?». Io faccio il furbo: «Ma no, stanno incitando De Roon». Il tempo si chiude con uno scambio degno di nota tra i due spicchi contrappos­ti della Sud. I napoletani: «Bergamasco, pagaci le tasse!». Gli orobici: «Andate a lavorare!». Viva l’Italia. Nel secondo tempo, praticamen­te nulla da segnalare. Tutto qui. Niente di peggio e niente di meglio di quello che si può sentire ogni giorno in tv durante un talk show o una tribuna politica. Per non parlare di quello che si legge in rete. Diciamo che siamo nella media dell’insulto pubblico quotidiano; e laddove insulto non c’è, si sottintend­e il disprezzo muto per l’avversario, o sempliceme­nte il vicino. Poi ogni tanto si ha come un sussulto e via con l’emergenza. In realtà la situazione era così il giorno prima e sarà così il giorno dopo. Come diceva Marco Paolini in una memorabile battuta: l’indignazio­ne è come l’orgasmo. Dura venti secondi e poi viene sonno.

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Carlo Ancelotti

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