Il capofamiglia rom: «Ero a casa mia»
Desiderio Horvat lo ribadisce: era a casa il pomeriggio dell’8 agosto 2017. Sostiene di avere perfino risposto al maresciallo che lo ha cercato sul telefono fisso. Non c’entra con la sparatoria al piazzale del mercato di Trescore Balneario ( foto). Lo ha spiegato al gip Massimiliano Magliacani nelle dichiarazioni spontanee rese a margine dell’interrogatorio di garanzia. È l’unico della famiglia ad avere dato una sua versione e chiesto, con l’avvocato Giuseppe Mussumeci, la revoca, o per lo meno l’attenuazione, della misura cautelare. I figli Principe, 28 anni, e Ferdi, 26 compiuti proprio ieri, hanno preferito il silenzio e ora valuteranno la strada del Riesame. Con l’accusa di tentato omicidio e detenzione di armi illegali, giovedì, sono finiti in cella anche Maurizio Pittalis, 49 anni, di Mapello, Gimmi Nicolini, 46, di San Paolo d’Argon ed Elia Hudorovich, 27, di Boltiere. Il primo, per l’accusa, ha spalleggiato gli Horvat. «Era nella zona del piazzale, ma con la sparatoria non ha nulla a che fare — spiega l’avvocato Fabio Marongiu, che ha chiesto la revoca del carcere —. Doveva incontrare Principe per parlare del ristorante che gestiscono insieme». Il gip, nella sua ordinanza, dà peso al dialogo tra Pittalis e la moglie del 21 marzo scorso: «Uno doveva cadere! Avrebbero imparato tutti», dice lui nella sua Punto intercettata. «È una frase estrapolata dal contesto», secondo la difesa. Nicolini e Hudorovich avrebbero sparato dal fronte opposto. Il primo era a Trescore, dice, ma c’è arrivato da passeggero, non voleva uccidere. L’altro si dice estraneo.