Lavoro in grandi aziende La maxi frode delle coop
Lavoravano nel settore del facchinaggio e tra i loro clienti c’erano state anche la Montello e la Coca Cola
Una frode fiscale con un danno erariale di 33 milioni è stata scoperta dalla Guardia di Finanza di Bergamo. In carcere il presidente del consorzio attorno al quale ruotavano diverse coop di facchinaggio che lavoravano anche per aziende come la Montello e la Coca Cola. Coop i cui capi vengono ritenuti solo dei prestanome.
C’era una cooperativa con sede in un alloggio sfitto e un’altra di cui l’amministratore di diritto non sapeva dove fosse la via indicata sulla carta intestata. E sì che lavoravano per aziende come Montello e Coca Cola. Questo perché le coop di facchinaggio erano numerose, i loro dipendenti tantissimi (1.500 nell’arco di sei anni) ma venivano gestite da prestanomi e facevano tutte capo a un consorzio, il cui presidente Giuseppe D’Armento, 51 anni, nato a Taranto ma residente a Cenate Sotto, è in carcere con l’accusa di frode fiscale ed evasione. La Guardia di finanza di Bergamo, nell’indagine coordinata dal pm Antonio Pansa, lo accusa di avere orchestrato il giro di cooperative omettendo dichiarazioni fiscali, non versando imposte, Iva e contributi dei soci-lavoratori e utilizzando falsi crediti d’imposta, per un danno erariale calcolato in 33 milioni di euro. All’arrestato e ai sette indagati (accusati a vario titolo di evasione, falso, distruzione o occultamento di documenti) sono stati sequestrati, su ordine del gip Ilaria Sanesi, denaro per 2,6 milioni di euro e 600 mila euro tra due ville, un appartamento, due auto e tre moto.
Il Consorzio Soluzioni Globali di D’Armento orchestrava sei coop, alcune delle quali, secondo i finanzieri del Nucleo di polizia economico, erano «mere cartiere» ed «evasori totali» che «compensavano i debiti previdenziali con crediti d’imposta inesistenti». Questo permetteva al Consorzio «di proporre prezzi concorrenziali», ottenendo appalti come quelli con la Montello spa o con la «Kuehne+Nagel», che si occupa dello stabilimento della Coca Cola a Nogara (Verona).
Proprio i rapporti con le due aziende consente di capire come funzionassero i meccanismi. Alla Montello la coop mandava quietanze del pagamento di tributi e contributi, quietanze «palesemente false», a volte con i numeri di protocollo «apposti manualmente». Per esempio, nel febbraio 2015 vengono riportati versamenti per 239 mila euro. Ma per gli stessi servizi all’Agenzia delle entrate ne arrivano solo 201,65. In un altro vengono indicati 328 mila euro a fronte del versamento di 54,24.
Il subappalto della Coca Cola era della coop Smart, incappata però in un’inchiesta dei finanzieri veneti e chiusa. A Verona se ne discute allarmati in Comune e in prefettura finché subentra la Zeta Jobs: ha gli stessi dipendenti ma risulta fare capo al nuovo Consorzio Vega. Che però a sua volta per gli inquirenti, è ancora riconducibile a D’Armento.
La Zeta Job peraltro ha presentato una dichiarazione per il 2016 maturando un credito d’imposta di 372 mila euro, solo che in quell’anno non aveva avuto clienti né fornitori. E il suo visto di conformità aveva la firma di un commercialista milanese, che ha però dichiarato di non conoscere la società. Risulta che la coop abbia spedito in Ungheria 978.120 euro. Per altre somme sono stati tracciati spostamenti tra Croazia, Emirati Arabi e Svizzera, e altre ancora sono state spedite in Cina. Si sta ora cercando di recu- perare il denaro all’estero.
Giuseppe D’Armento, secondo gli inquirenti, era il vero dominus dietro l’attività di tutte le coop, «per soci e dipendenti un punto fermo» perché «ha stipulato i contratti, ha selezionati i rappresentati legali, ha gestito i rapporti con i dipendenti, ha selezionato il personale, ha organizzato il lavoro e ha investito i guadagni illeciti». I finanzieri hanno cominciato con i primi sequestri in luglio, ma «nonostante le perquisizioni, i reiterati sequestri e gli accertamenti fiscali» D’Armento continuava la sua attività: l’ultima operazione risale a metà novembre. Da qui, e dall’«elevatissimo pericolo di fuga» la decisione di arrestarlo.
L’interrogatorio di garanzia si è già svolto. «Si è difeso spiegando che si trattava di un’attività imprenditoriale vera e propria: il Consorzio è necessario per gestire attività e appalti complessi — spiega il suo avvocato Gianluca Quadri —. Non era al corrente della documentazione falsa. Gli amministratori delle coop sono veri imprenditori e non prestanomi, e hanno agito autonomamente. Con i trasferimenti di denaro lui non c’entra niente. Una posizione non del tutto smentita dagli atti».
L’accusa Grazie a falsi crediti con il Fisco non venivano versati i contributi
La difesa L’arrestato nega tutto: «Estraneo al denaro all’estero. E non c’erano prestanomi»