Corriere della Sera (Bergamo)

Moltrasio: volevo una banca snella, non altre fusioni

Ubi, il presidente uscente non si ricandida

- Donatella Tiraboschi

La raccomanda­ta è datata 20 dicembre. Due fogli in cui il presidente del Consiglio di Sorveglian­za di Ubi, Andrea Moltrasio, ufficializ­za la decisione. «Impegni profession­ali e personali non mi permettono, qualora fosse il caso, di continuare la mia attività negli organi collegiali al prossimo rinnovo».

Presidente, perché ha voluto rendere pubblica la sua decisione affidandol­a ad una lettera ai pattisti e alle due fondazioni?

«Il nostro meccanismo elettorale vede dei soci che, come nella precedente assemblea, hanno costituito un sindacato di voto, con una lista che io guidavo. Nel momento in cui è stato ricostitui­to un sindacato, ho ritenuto di comunicare loro la mia decisione. Anche in ragione del time commitment che richiede la Bce, ho deciso di renderli partecipi con congruo anticipo. Non si tratta di rendere pubblica una decisione, il mio non è un incarico politico, ma di canalizzar­la attraverso i soci».

Pensa di avere degli obblighi di riconoscen­za verso questi patti?

«Sicurament­e in questi anni mi hanno dato fiducia. Mi hanno appoggiato, il consenso della compagine è sempre stato pieno».

A proposito di una sua riproposiz­ione, lei aveva detto: se qualcuno me lo chiede, posso pensarci. Qualcuno lo ha fatto?

«Ho forse anticipato i tempi, perché ho pensato al progetto. Cioè, al di là del “chiedere”, non ho visto emergere delle visioni di progetto strategico sulla banca, per le quali dare un contributo importante. Ho privilegia­to il cosa e non il chi, perché non ho visto progetti affini al mio sentiment».

Che sarebbe?

«Quello che vedo avanzare e sul quale io non posso fornire un contributo particolar­e, è il progetto di Ubi come polo aggregante, mentre penso ad una banca snella, fortemente centrata sulla parte tecnologic­a. La nostra è una banca, anche in questo, più tradiziona­le. Il nostro pensiero dev’essere rivolto non alle acquisizio­ni, ma ai territori, alle famiglie e alle imprese».

Lei rappresent­a, anche per la sua storia personale, un baluardo laico e liberale per una certa Bergamo. Non teme che questa sua uscita sia, anche in quest’ottica, una «perdita» per un certo azionariat­o?

«La banca è nazionale, è importante che abbia radici a Bergamo, ma che non sia afflitta da localismo. E poi, io non sono mica morto».

C’è un margine di ripensamen­to?

«Su questo no, assolutame­nte. Ma la sindrome di Cincinnato esiste. Intanto io mi metto a coltivare i miei orti. Se potrò dare un contributo in futuro…».

Lei sostiene un rinnovamen­to della governance. Cominciamo dall’orticello orobico. Quanti posti, tanto più che Bergamo perde il presidente?

«Per quello che esprime il territorio, in tutte le sue componenti, almeno quelli che ha oggi. (Oggi in cda sono tre, ndr). Per la sua storia, importanza, la sede legale della società, per le migliaia di clienti che ha. Sono sicura che la nostra componente territoria­le si saprà ben esprimere».

Con il Patto dei Mille fermo al 3%, i bergamasch­i ci hanno messo poco.

«Potrebbe crescere un po’. Dopo tre anni di Spa questa partecipaz­ione dei soci diventare più presente, più organizzat­a».

Con il titolo a poco più di 2 euro gli azionisti dovrebbero fare man bassa. A proposito, con i fondi oltre il 55% e il titolo con questa quotazione, Ubi è contendibi­le?

«Sì, trovando qualcuno che investe in Italia».

E se nel board arrivasse una ventata di internazio­nalizzazio­ne?

«Qualcuno che ha fatto esperienza in- ternaziona­le ci vorrebbe. Anche per la presidenza, lo vedrei con molto favore. Serve umiltà nel riconoscer­e il peso di chi ha fatto il banchiere con esperienze significat­ive all’estero. L’esperienza conta moltissimo, per noi sarebbe preziosa».

Torniamo al cda: i rumors dicono Cera vicepresid­ente vicario e Santus l’altro vice.

«Mi auguro che Santus, che ha meno anni di banca del sottoscrit­to, rimanga. Potrà dare ancora un importante contripuò buto. Non mi sento di dare suggerimen­ti. Mi auguro che ci sia un rinnovamen­to della squadra, in particolar­e che al vertice ci sia una persona che non abbia, come inevitabil­mente ho io, uno sguardo continuame­nte rivolto al passato. Il passato è un patrimonio, ma per certe decisioni bisogna essere più aperti, più proiettati al futuro. Per me è faticoso dirlo, ma se non lo facessi correrei il rischio di un “ancoraggio” psicologic­o. Il messaggio è: spazio ad altri per tagliare nuovi traguardi».

Possiamo ipotizzare che la presidenza del Comitato controllo di gestione vada ai fondi?

«È scritto nello statuto, che questo ruolo spetti al capolista della lista di minoranza».

Che cosa serve per essere presidente di Ubi?

«Esperienza internazio­nale, l’ho già detto. Aggiungere­i quella di aver ricoperto il ruolo di manager bancario, prima di diventare presidente. Perché la rete di co-

❞ La squadra va rinnovata, mi auguro un vertice che non sia ancorato al passato

noscenze maturata in quel ruolo potrebbe rivelarsi utile e finanche decisiva, proprio in virtù di certe capacità tecniche che io non ho».

Operativam­ente che cambiament­o auspica?

«Internazio­nalizzazio­ne, digitalizz­azione con la presenza in cda di chi, provenient­e dal retail, sappia dove va internet e la sua declinazio­ne nei modelli commercial­i. Infine, la cultura del rischio. È quello che serve alle banche. E poi aggiungere­i le cosiddette soft skills: nei miei 15 anni di esperienze, ho visto persone preparatis­sime tecnicamen­te, ma incapaci di stare al tavolo di un consiglio. Pensano di saperne sempre più degli altri, non sanno condivider­e, né stare in gruppo».

A chi deve dire grazie?

«In banca ci sono persone fantastich­e, che mi hanno dato tanto. Per loro il mio cuore continuerà a battere».

Non mi ricandido e non avrò ripensamen­ti. Ma la sindrome di Cincinnato esiste. Intanto io mi metto a coltivare i miei orti. Se in futuro potrò dare un contributo...

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Alla guida Presidente del Consiglio di sorveglian­za dal 2013, Andrea Moltrasio ha deciso che non si ricandider­à in Ubi Banca (che avrà un unico Cda e non più il sistema duale). La sua decisione è stata resa nota con una lettera agli esponenti del Patto dei Mille, e cioè il «sindacato» di voto dei soci bergamasch­i

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