«Telecamere in aula» I giudici si riservano
Le difese: assemblea vicina, rischio uso strumentale Le parti civili: interesse pubblico. Respinte le eccezioni
Le parti civili le vogliono, gli imputati no. Sulle telecamere di Report al processo Ubi, il tribunale si è riservato. Sì, perché l’interesse sociale è elevato. No, perché la prima fase con i testimoni dell’accusa rischia di essere strumentalizzata in vista dell’assemblea. Respinte le eccezioni delle difese sull’acquisizione degli atti.
Il processo ai vertici di una banca è di interesse sociale così rilevante da far entrare in aula le telecamere anche se gli imputati non vogliono? Ubi e la trasmissione Report, in questo caso. Fosse stato semplice rispondere, alle 18.40 il collegio sarebbe rispuntato in aula con la risposta. Invece, nella nuova composizione col presidente Stefano Storto, si è riservato. Se ne riparla il 20 febbraio, alla prossima udienza.
Sulle riprese televisive, il pm Fabio Pelosi e la Consob ( parte civile) sono rimasti neutrali. Ai loro lati, si sono creati due fronti. Quello del sì, cioè i sei componenti (parti civili, tra cui Giorgio Jannone) delle liste concorrenti a quella vincitrice di Andrea Moltrasio all’assemblea del 2013 «incriminata». E quello del no, le difese degli imputati, tra i quali Moltrasio, Giovanni Bazoli, Mario Cera, Emilio Zanetti, il ceo Victor Massiah.
Perché sì, è semplice per l’avvocato Mario Zanchetti: «L’interesse pubblico è evidente». Perché no, è molto più complicato secondo l’avvocato Francesco Centonze, per Ubi: «Tra un mese e mezzo ci sarà l’assemblea, si rischia un utilizzo strumentale dei contenuti di questa prima fase del processo in cui ascolteremo i testimoni dell’accusa. Ubi, inoltre, è una società quotata, bisogna valutare se la rappresentazione può avere effetti distorsivi». Sull’argomento ha insistito anche l’avvocato Filippo Dinacci, per Emilio Zanetti e Giuseppe Calvi, parlando di «possibili riflessi sul mercato». E se proprio le telecamere devono entrare, che riprendano dal retro dell’aula, come se fossero il pubblico, è il compromesso dell’avvocato Carlo Melzi d’Eril, per Cera: «Davanti, potrebbero provocare problemi al sereno svolgimento del processo».
Processo che ha rischiato di ripartire daccapo. O, almeno, le difese hanno puntato alla nullità della richiesta di rinvio a giudizio. «Nel fascicolo del pm mancano i documenti informatici, un’ imponente mole che, se conosciuta, avrebbe potuto far compiere altre scelte processuali», l’avvocato Vieri Barzellotti, per Italo Folonari. Lì dentro c’è anche il diario di Italo Lucchini con nomi, date, incontri. «Nel fascicolo c’è tutto. Gli atti sequestrati sono all’ufficio corpi di reato. Si poteva anche fare copia dei cd», la replica del pm. Il tribunale gli ha dato ragione, citando la email con cui la segreteria comunicava alla difesa le istruzioni per l’accesso agli atti. Al termine di una vivace dialettica in punta di diritto, entrano anche le email sequestrate che la difesa ha cercato di tenere fuori. «Se devo acquisire i dati dal gestore utilizzo il sequestro, ma se le conversazioni sono nelle caselle di posta siamo nel campo delle intercettazioni», è il ragionamento. Altra eccezione respinta dal collegio: «Non è un flusso attuale di dati, ma sono dati acquisiti con il sequestro degli hard disk». Dentro anche le dichiarazioni degli imputati alla Consob, in sede del procedimento amministrativo. Secondo gli avvocati andavano acquisite con le garanzie del procedimento penale, perché già in quella sede era emerso l’indizio del reato. Non secondo il pm e il tribunale. Restano fuori pochi atti, tra i quali un esposto di un gruppo di dipendenti di Ubi non meglio identificati. Quindi, anonimo.
Le prove Acquisite le email e le dichiarazioni del procedimento davanti alla Consob