Corriere della Sera (Bergamo)

Delitto Roveri, il giallo dell’iPhone mai trovato

Trascorsi due anni dai primi accertamen­ti. Il telefono restò acceso per 36 ore dopo il delitto

- Armando Di Landro

La Procura di Bergamo si appresta a chiedere l’archiviazi­one delle indagini sull’omicidio di Daniela Roveri, avvenuto il 20 dicembre 2016 a Colognola. Dopo due anni non sono emerse prove in grado di dare una svolta all’inchiesta e resta il giallo di quanto accadde nelle prime 36 ore dopo il delitto. Il cellulare della vittima risultava acceso e agganciato alla cella che copre anche Colognola: ma si tentò mai di localizzar­lo con precisione con le più moderne tecniche a disposizio­ne di chi indaga? Gli atti sono ancora coperti dal segreto istruttori­o.

Iniziò come un mistero assoluto: oggi è ancora tale. Sul calendario sono passati due anni e due mesi dall’omicidio di Daniela Roveri, manager di 48 anni uccisa con una coltellata alla gola a Colognola, il 20 dicembre 2016, all’ingresso del palazzo di via Keplero 11. Domani saranno trascorsi anche i due anni tecnici di indagini (quelli sul calendario con l’aggiunta di due mesi di sospension­e dell’attività giudiziari­a): nessuna prova, nessuna svolta, la Procura dovrà chiedere, in via obbligata, l’archiviazi­one del fascicolo, rimasto sempre contro ignoti. Non significa che non si indagherà più sull’omicidio di Daniela Roveri: nel caso in cui emergesser­o novità concrete la polizia giudiziari­a (in questo caso la squadra mobile) potrà chiedere la riapertura dell’inchiesta. Ma è chiaro che con l’archiviazi­one verrà meno un potenziale lavoro di coordiname­nto da parte della magistratu­ra.

Andando a ritroso, per tornare alle ore immediatam­ente successive l’omicidio, al mistero principale (chi e perché ha ucciso Daniela Roveri?) se n’era subito aggiunto un altro. L’assassino si era allontanat­o dal palazzo di via Keplero, tra vari parcheggi, un parco pubblico e altri condomini, senza che nessuno notasse movimenti sospetti. E l’aveva fatto portandosi dietro la borsa personale della vittima, con dentro il suo portafogli e anche il suo iPhone 6. Fu una messinscen­a per simulare una rapina? Con una certa sorpresa la squadra mobile aveva subito scoperto che lo smartphone risultava acceso e agganciato alla cella che copre anche Colognola. Ed era rimasto attivo per circa 36 ore, fino alla mattina del 22 dicembre: la polizia, in forze, l’aveva cercato ovunque, nella zona, ma senza mai trovarlo. Fino a quando il telefono si era spento e non aveva più dato segnali.

Non è chiaro, però, perché quell’iPhone non fu mai individuat­o in modo preciso. A prescinder­e dalle ricerche sul campo gli investigat­ori hanno solitament­e due strade da percorrere per arrivare a una localizzaz­ione esatta di un telefono acceso: con una richiesta d’urgenza da parte della magistratu­ra, il gestore telefonico è in grado, solitament­e, di dire in breve tempo dove si trova lo smartphone a cui si dà la caccia. Ma esiste anche un apparecchi­o, lanciato negli Stati Uniti dall’Fbi e ormai in dotazione anche in Italia, che viene definito comunement­e «Imsi catcher», e cioè un ricevitore portatile, materialme­nte una valigetta, che riconosce il codice identifica­tivo di una sim (l’Imsi appunto) ed è poi in grado di indicare la posizione della scheda.

Gli atti delle indagini sono ancora coperti da segreto e al momento non è noto se una delle due strade fu battuta per trovare quell’iPhone che, forse, non avrebbe dato risposte, oppure avrebbe potuto dire molto: appuntamen­ti, testi, immagini, video, messaggi in Whatsapp o in altre applicazio­ni simili, insomma tutto materiale non ricostruib­ile a posteriori attraverso il gestore telefonico (che invece aveva potuto dire quali erano state le ultime chiamate sui tabulati dell’utenza Roveri). Un’occasione mancata, quel telefonino spento, che aveva segnato l’inizio delle indagini, già in salita e tuttora complesse. Nessuna prova, nemmeno da quel Dna parziale lasciato su una guancia e su un dito della vittima, la firma dell’assassino. «Daniela — aveva raccontato il vicino che per primo trovò il cadavere — aveva il terrore negli occhi».

Il dubbio

Atti ancora coperti da segreto: non è chiaro se il gestore telefonico riuscì mai a individuar­lo

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Daniela Roveri aveva 48 anni
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I rilievi La polizia scientific­a trovò tracce di Dna parziale sul corpo della vittima

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