«Sono felice di essere un esempio»
Martedì la lezione di Alex Zanardi
Alezione da Alex Zanardi: l’atleta che ha saputo adattarsi a un dramma — dovuto al grave incidente del 2001 in cui perse le gambe — martedì sarà nell’aula magna dell’Università, per una «lezione» agli studenti. «Mi inorgoglisce essere un esempio, uno stimolo per tanti. La vita è fatta di tanti tentativi, prima ancora che di vittorie».
«Un po’ stanchino, ma mi ero preparato bene. Nel frattempo ho già corso una gara in auto e ne ho in programma un’altra in Giappone. Diciamo che non mi annoio, dai». Immenso Alex Zanardi. Dopo aver conquistato la maglia iridata nel paraciclismo, all’ Ironman di Cervia, lo scorso settembre, ha stabilito un nuovo record del mondo con il tempo di 8 ore e 25 minuti, migliorando di 36 secondi il suo tempo del 2018. Una prova lunga oltre 225 chilometri tra nuoto, marcia e bici: l’atleta bolognese, che compirà 53 anni il 23 ottobre, ha sfoderato una prestazione incredibile. Martedì alle 18 interverrà nell’Aula magna dell’Università a Sant’Agostino.
Alex, come si fa ad essere uomini d’acciaio, come lei?
«La parte più difficile è sempre l’inizio. Quando si taglia un traguardo e scopri di aver migliorato pure il tuo tempo la soddisfazione raddoppia. Ma se farlo non fosse una passione, non saresti in grado di arrivare fin lì. Bisogna ritenere possibile una cosa e mettersi al lavoro giorno dopo giorno, per costruirla. Se lo sogni lo puoi fare».
Da bambino lei sognava di guidare un’auto rossa e costruire missili.
«Da piccoli si lavora di fantasia: il missile no, ma io l’auto rossa l’ho trovata davvero».
Quando è tornato in pista a Daytona, a gennaio, l’America è impazzita per lei. Ovunque nel mondo Zanardi è sinonimo di simpatia.
«Credo di essere qualcosa di già visto a più riprese. In me le persone vedono anche più di quanto non ci sia. La cosa mi inorgoglisce. Sicuramente ho dei meriti, mi sono trovato di fronte a situazioni difficili che ho affrontato con la schiena dritta. Ma molti fanno ciò che faccio io senza però i titoli sui giornali».
Claudia Cretti, dopo l’incidente, si è rimessa in sella ispirandosi a lei.
«Il mio nome viene accostato a cose molto positive che si riescono a fare nelle situazioni di difficoltà. Credo che sia stato questo a motivare Claudia, tanto più che nemmeno ci conoscevamo. Oggi frequentiamo la stessa nazionale e siamo amici. Ha scoperto che sono un uomo normale. Detto questo, sapere di essere un motivatore per gli altri è meraviglioso».
Guccini e Vecchioni le hanno dedicato una canzone: «Qui si tratta di vivere e non di arrivare primo e al diavolo il destino» dice una strofa. Lei vive e primo ci arriva spessissimo.
«Se fosse una cosa così scontata vincere, non sarebbe così bello nemmeno tentare di farlo. La vita perfetta non è quella che si riempie di grandi risultati, ma di grandi tentativi. Tante volte mi sono trovato davanti al traguardo e lo sprint vincente l’ho proprio tentato, l’ho provato. Se parti da casa per mettere in atto un progetto e sei convinto di tagliare il traguardo per primo, allora stai perdendo tempo. Significa che sei spinto più dall’ambizione che dalla passione. A quel punto non arrivi così lontano, perché seppur forte, l’ambizione non ti dà la perseveranza necessaria».
Un concetto che lei ha ribadito quando Rosberg si è ritirato dalle corse.
«La vita è una sola e devi cercare di fare le cose che ti appassionano: se a te piace correre e arrivare 20° perché devi rinunciare? Chissenefrega del ricordo che lascerai. Tanto, se ti va bene, i fiori sulla tomba te li metterà tua moglie, perché tuo figlio avrà già di meglio da fare».
Vivere guardando avanti. «Ogni tanto è bello guardare anche al passato. Guardo le foto più belle della mia carriera e dico: «Come facevo ad andare così forte?». Ma adesso per le mani ho altre cose che mi appassionano».
Da 300 km all’ora è passato a 30.
«Impostare il proprio limite è la chiave del gioco. Una linea immaginaria che puoi sempre spostare in avanti, ma con la consapevolezza, chiudendo una gara, di aver dato il massimo per la preparazione che avevi fatto. Quando correvo in macchina non ero capace di accontentarmi del 4° posto, non sapevo che il mio limite mi suggeriva di rinunciare alla battaglia. Adesso il motore sono io e questo è dannatamente più importante».
E va fortissimo. «Quando ho vinto l’Ironman mi sono detto; sono il disabile più veloce, ho perfino battuto il record dell’anno scorso. Che era quello di un 52enne. Cioè io (ride)».
Martedì parlerà ai ragazzi dell’università.
«A loro dirò che bisogna appassionarsi alle cose che dobbiamo fare. Durante la mia riabilitazione, ho acceso delle opportunità che oggi mi stanno restituendo il premio. Ho preso in mano un ginocchio protesico riconducendo i punti in comune con la sospensione di un’auto da corsa. Ho pensato a chi l’aveva progettato e con i tecnici ortopedici ho creato una squadra attorno a me. È sempre la curiosità che ti guida nel percorso, e combinando le varie cose, la soluzione arriva».
Il segreto della vita?
«È abbastanza semplice: cercare di scegliere bene e non seguire la maggioranza. Se tutti si dirigono in una direzione, è possibile che in fondo alla strada ci sia qualcosa di affascinante. Ma che, magari, non è nelle tue corde fare. Chi vuoi fare il calciatore lo faccia per amore del pallone. Una sera mio padre mi trovò addormentato nel go-kart. “Sto bambino”, disse fra sé e sé, “c’ha una gran passione e, finché potrò, gli darò una mano per realizzarla”».
❞ In auto non ero in grado di accontentarmi. Oggi il mio motore sono io, e questo è davvero molto importante
❞ Se parti da casa convinto di dover arrivare primo allora stai perdendo tempo: serve la passione, non solo l’ambizione