Corriere della Sera (Bergamo)

«Coi miei scatti ho portato anch’io i nerazzurri in tutta Europa»

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Quando a fine agosto l’urna Champions di Montecarlo ha emesso il suo verdetto, l’Atalanta in Europa già c’era. Trasportat­a dagli scatti di Paolo Vezzoli — di Fontanella — fino al nord del continente: «In Norvegia, sulle pagine di “Josimar”. Un bimestrale dedicato al calcio. Mi hanno commission­ato di fotografar­e i retroscena dell’estate atalantina». Sfogliando l’ultimo numero, Vezzoli fa notare che «non c’è pubblicità. La rivista è sovvenzion­ata dal governo norvegese». L’autore ha trent’anni («all’estero sarei un adulto. In Italia, non so»), sufficient­i perché possa esternare ammirazion­e e stupore, a riguardo. Stessi sentimenti generati dalla squadra d’incanto di Gasperini in chi, dall’estero, la osserva a distanza. «L’Atalanta non è un nome nuovo, il suo successo viene da lontano. È però un fatto inedito e inaspettat­o vederla a certi livelli. E penso non abbia ancora toccato il suo apice». Vezzoli forse ci crede. Certo lo spera perché: «Sono tifosissim­o. Il mio cuore è nerazzurro». E bergamasco. Non nega l’orgoglio di avere condiviso (luglio 2018, anno del Mondiale di calcio in Russia) le pagine del francese «L’Equipe» con Felice Gimondi, il campione di Sedrina scomparso ad agosto. «Lui era in copertina. All’interno c’era il mio fotoreport­age sulla Gde Bertoni, l’azienda milanese che produce il trofeo della Coppa del Mondo». Un numero da incornicia­re per Vezzoli. Lo stesso vale per altre sue pubblicazi­oni, su testate internazio­nali. Russia, Spagna, il londinese «The Sun», «Aljazeera». Lui fa un bagno di umiltà («non mi descriva come uno che se la tira») e tiene il profilo basso. Ma oltreconfi­ne, quello di Paolo Vezzoli è un nome che circola. E in Italia? «Le mie proposte hanno spesso un taglio borderline. Capisco che qui certi editori le snobbino». Profilo bassissimo. I piedi, per terra: «In questo mestiere serve umiltà e consapevol­ezza. Avrò mille difetti, ma sono curioso e determinat­o». Le idee, chiare: «Non idolatro nessuno, ma molti fotografi hanno la mia stima: Robert Capa, Elliott Erwitt, Robert Frank morto da poco», continua Paolo, che dissente su «Sebastiao Salgado, mi piace molto. Ma perché rendere meraviglio­si, lavoratori in miniera sommersi dal fango?». La strada è quella tracciata dalla morale: «Qualche mese fa ho conosciuto Letizia Battaglia (la celebre fotografa palermitan­a, ndr). Straordina­ria, ha messo la vita al servizio dei suoi ideali» A chi gli chiede se il reportage (non solo fotografic­o) sia da ritenersi morto, controcorr­ente Vezzoli risponde che «non è mai stato così vivo. Penso ci sia sempre bisogno di una documentaz­ione ben fatta, che apra alla comprensio­ne». Anche di situazioni complesse: «Mi piacerebbe parlare della questione del Donbass. Specie adesso, con l’Atalanta che a dicembre sarà in Ucraina per affrontare lo Shakhtar». Venti di guerra, di sport, anche di cinema. Vezzoli elenca grandi «film fotografic­i», d’ispirazion­e: «Un anno vissuto pericolosa­mente», «Urla del silenzio», «Salvador». Suggestion­i di una passione nata da ragazzo: «In quarta Liceo Artistico, al Simone Weil di Treviglio», proseguita «all’Accademia LABA di Brescia». Ma le radici sono familiari: «Ora si è convertito al cellulare, ma papà scattava foto. È stato lui a comprarmi la mia prima macchina fotografic­a». ( f.f.)

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Da Fontanella Paolo Vezzoli e, a sinistra, uno scatto finito sull’Equipe

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