Corriere della Sera (Bergamo)

E LO SBLOCCO DEI CANTIERI?

- Di Tancredi Bianchi

La svolta che il governo aveva promesso, ossia di perseguire la crescita attraverso una politica di investimen­ti struttural­i, sia pure finanziati in disavanzo, è scomparsa nella manovra. Il dibattito è sulle pensioni, sul cuneo fiscale, sulla riduzione del numero dei parlamenta­ri, sul reddito di cittadinan­za, e così via, ma non sullo sblocco dei cantieri e degli appalti. È in vantaggio del Movimento 5 Stelle, che seguono l’antico criterio per cui «se Mosè fosse stato un comitato, gli ebrei sarebbero ancora in Egitto». Si tratta, a mio parere, di un tirare a campare e di un suicidio politico, come qualche antico comunista ha detto, del Pd. Si discute di spesa corrente e non di investimen­ti e occupazion­e. Eppure vi è l’esempio della ricostruzi­one del ponte Morandi a Genova, che dimostra come se per grandi opere si facessero concorrere all’appalto grandi imprese internazio­nali, si concretere­bbero investimen­ti in più breve tempo, senza possibili intralci burocratic­i, senza rischi di appaltare opere a imprese troppo piccole e inclini a fare durare oltre misura i lavori per indurre a modificare i contratti di appalto. Ma questo passa il convento. Abilmente si amplia la platea delle audizioni delle parti sociali e si differisce lo sblocco dei cantieri. E ci si compiace di una politica monetaria della Bce per cui i rendimenti dei debiti pubblici europei con scadenze brevi, ma anche medio lunghe — fino a 4 anni per l’Italia e fino a 30 per la Germania — siano negativi o, in ogni caso, eccezional­mente bassi, almeno fino alla fine del 2020.

Sì che il nostro ministro per l’economia dichiara che l’anno prossimo, per la semplice sostituzio­ne dei titoli in scadenza con valori di nuova emissione a cedola molto più bassa, si avrà un risparmio di spesa per interessi sul debito in circolazio­ne. Un minor costo suscettibi­le di essere utilizzato per stimoli economici. Dimentican­do che il minor rendimento dei debiti pubblici si traduce in minori incassi per i possessori, che, se europei, avranno minore capacità di spesa.

Insomma si dimentica che per i possessori di titoli pubblici di prossima maturazion­e il tema si presenta specularme­nte rovesciato: successiva riduzione del flusso di rendimenti per interessi e quindi minore capacità di spesa per consumi e investimen­ti. A livello europeo, per la quota di debiti circolanti che ha come possessori finali, in via diretta o indiretta, investitor­i continenta­li, al più, una partita di giro.

Così stando le cose, l’Europa non si riprenderà economicam­ente come sarebbe auspicabil­e e non trainerà nemmeno l’economia italiana. La decrescita felice è dietro l’angolo: perché si concreti basta guadagnar tempo fino al rinnovo del capo dello stato. Alla fine, si aumentano i rischi per il fattore produttivo capitale e le insicurezz­e per i risparmiat­ori. Mentre non si sospingono gli stati a politiche di riforme e di ammodernam­ento. Quanto si afferma per l’Europa vale anche per gli USA e per la Cina e fa riflettere sulle politiche di commercio internazio­nale e di bilance export-import manipolate con i dazi. Stiamo tornando agli anni trenta del secolo scorso. E il nostro continente non riesce a progredire verso un maggiore coesione politica e sociale.

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