Corriere della Sera (Bergamo)

Vivere sulla luna Un viaggio nel futuro

- Matteo Castellucc­i

Anche l’Italia sbarcherà sulla Luna. Ricerca e ingegno valgono il biglietto per il ritorno in grande stile sul satellite, nel 2024, con una missione in collaboraz­ione tra la Nasa e l’Esa (l’agenzia spaziale europea). Ricorre il cinquanten­ario dall’impresa dell’Apollo 11, ma stamattina è tutto al futuro l’incontro di Bergamosci­enza «Obiettivo Luna» (appuntamen­to fissato alle 9,30, al Centro congressi Giovanni XXIII, ingresso libero).

«Direi che il 50esimo è quasi una casualità», chiarisce Michèle Lavagna, responsabi­le del corso di Progettazi­one di sistemi spaziali e del gruppo di ricerca Astra al Politecnic­o di Milano. Insomma, stavolta niente passeggiat­e: l’Umanità tornerà lassù per restare, rappresent­ata da una coppia di astronauti americani, una donna e un uomo, che nel 2024 getteranno le basi per una permanenza di lungo periodo. «L’ottica è installare una colonia scientific­a analoga a quella che c’è in Antartide, ma anche impianti utili alla vita sulla Terra — spiega Giovanni Caprara, editoriali­sta scientific­o del Corriere della Sera e docente di Storia dell’esplorazio­ne spaziale al Politecnic­o —: per esempio, con la gravità pari a un sesto di quella terrestre, si possono produrre farmaci di migliore qualità. Un insediamen­to stabile ci proietta in un’ottica d’esplorazio­ne continua, verso Marte, con un avamposto di passaggio dove abituarsi a lavorare su un altro corpo celeste».

Può sembrare ravvicinat­a la data della missione, ma — a differenza del glorioso 1969, quando servirono sette anni per mettere a punto il viaggio — buona parte della tecnologia per il viaggio del 2024 è già stata sviluppata. Anche in Italia. Dietro la capsula che contiene l’equipaggio, c’è un modulo di servizio essenziale alla sopravvive­nza perché produce ossigeno: il suo scheletro viene costruito dalla Thales Alenia Space di Torino. Con la Leonardo Company, il Politecnic­o di Milano aveva già «firmato» il trapano spedito nel 2014, sul lander della sonda Rosetta, per prelevare campioni di una cometa. Nel 2020, un suo «nipote» volerà su Marte e poi sui poli lunari, dove non era mai stato nessuno.

Assieme all’Agenzia spaziale europea (l’Esa), oggi il team della prof Michèle Lavagna sta ultimando in laboratori­o un macchinari­o in grado d’estrarre acqua, e quindi ossigeno, dalla regolite, la sabbia della superficie lunare. Nel reattore, a mille gradi, si separa l’anidride carbonica dagli ossidi metallici e, successiva­mente, da questo gas si «strappa» l’ossigeno. «La Luna è sempre stata considerat­a di minor interesse rispetto a pianeti più lontani, ma due missioni hanno individuat­o bacini d’acqua ghiacciata mista ai minerali: dobbiamo studiare in loco queste formazioni — conclude la docente e studiosa del Politecnic­o —. Si esce dalla protezione del campo magnetico terrestre e si affronta lo spazio profondo, pur essendo vicini come un weekend fuoriporta: tre giorni di viaggio, o pochi secondi per un segnale. Il grosso problema delle missioni è la mancata indipenden­za dalla Terra: bisogna partire portandosi dietro lo “zainetto” e il “sacchetto della spazzatura”, per il ritorno. La chiave di volta è replicare un ciclo virtuoso anche sulla Luna, dal prodotto esausto alla risorsa, simmetrico all’ecologia».

L’obiettivo In viaggio ci sarà una coppia di americani «Nuova colonia scientific­a sul satellite»

Gli strumenti Team del Politecnic­o sta ultimando un laboratori­o che servirà a estrarre acqua

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 ??  ?? La foto storica Edwin Eugene Aldrin, «Buzz», vicino alla bandiera americana sulla Luna, 50 anni fa
La foto storica Edwin Eugene Aldrin, «Buzz», vicino alla bandiera americana sulla Luna, 50 anni fa

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