Corriere della Sera (Bergamo)

Marino: «Il mio ritorno in famiglia»

Il direttore Pierpaolo Marino, quattro anni a Bergamo, ora è di nuovo all’Udinese I retroscena su Gomez, Denis e Maxi: «In Champions l’Atalanta deve crederci»

- di Andrea Losapio

Dai retroscena di mercato di quando era direttore generale dell’Atalanta, all’attuale esperienza a Udine. Pierpaolo Marino torna per la prima volta da avversario a Bergamo, domani pomeriggio: «I nerazzurri per me sono come una famiglia. La Champions? I bergamasch­i devono continuare a crederci».

«Come faccio a essere un nemico?», si chiede Pierpaolo Marino, direttore dell’area tecnica dell’Udinese, rientrato quest’estate dopo 4 anni lontano dal pallone in seguito al divorzio con l’Atalanta, datato 2015. «Per me sarà una festa, tornare a Bergamo è come stare in famiglia. Sono stato accolto dai Percassi e dalla gente come uno di loro». Vedrà lo stadio nuovo. «Sarò felice anche di questo, perché io avevo in mano il modellino. Sportivame­nte sarà una lotta».

Per voi è stato un inizio complesso, con Tudor in bilico.

«Non ha mai rischiato, lui gode di ampia credibilit­à, sta facendo un ottimo lavoro. Abbiamo una squadra competitiv­a. Siamo convinti di fare bene, al di là della gara di Bergamo, che è difficilis­sima».

Com’è nato il ritorno all’Udinese?

«Mi hanno rivoluto dopo 14 anni. Mi ha chiamato Pozzo ed è stato un fulmine a ciel sereno».

Era fermo dal 2015...

«Un po’ per scelta, poi alcune situazioni non mi convinceva­no, altre gratifican­ti erano sfumate all’ultima curva».

Nel 2011 lei diceva che per l’Atalanta il modello era l’Udinese.

«Ma è sempre stato differente. L’Atalanta ha una sua peculiarit­à, il settore giovanile. Sono due modelli differenti, però posso dire che i nerazzurri stanno emulando bene l’Udinese di otto anni fa».

Ora però non c’è nessuno del vivaio tra i grandi.

«Però sono i Gagliardin­i, i Kessie, i Caldara, i Conti, i Bastoni ad aver permesso, con i loro ricavi sul mercato, di instaurare un regime virtuoso». Con Gasperini.

«C’è il lavoro della società e merito, tanto, del tecnico».

Il 2011 era l’estate dei sei punti di penalizzaz­ione.

«Anno difficilis­simo. Già su tre neopromoss­e in due retrocedon­o, poi abbiamo rifatto la squadra all’ultima settimana di mercato. Non sapevamo quale potesse essere la punizione per il calcioscom­messe».

E avete preso Denis all’ultimo.

«In realtà avevo chiuso già alla fine di luglio. Solo che German avrebbe firmato solo in A, c’era questa spada di Damocle. Poi sono arrivati Cigarini, Brighi, Masiello, il ritorno per fine prestito di Schelotto».

Moralez lo aveva preso prima.

«Era l’investimen­to più importante, nel tempo ha dato i suoi frutti. Tutti erano scettici, poi fece due gol a Genova alla prima giornata e tutto cambiò...».

Da Frasquito al Papu, con i piccoli è andata bene.

«Abbiamo avuto fortuna, perché gli agenti erano gli stessi di Denis. Leo Rodriguez e Alejandro Naccarato. Sapevamo che Gomez voleva andare via dal Metalist, perché la famiglia si era spaventata per le bombe allo stadio e l’aereo abbattuto in Ucraina. Ci siamo inseriti con i procurator­i».

A prezzo di saldo.

«Sì, dovevano ancora dei soldi al Catania, abbiamo avuto questo vantaggio. Contempora­neamente toccava cedere Bonaventur­a, lì c’è stata la famosa telefonata di Galliani».

Però avevano preso Biabiany, prima.

«Poi si bloccò per problemi fisici. Inzaghi convinse Galliani su Jack, io e Antonio Percassi eravamo a casa Milan, Sartori e Luca negli uffici per chiudere Gomez».

Si aspettava diventasse questo?

«Sì. Appena arrivato era in ritardo di condizione, non si era allenato bene. Le qualità si vedevano durante gli allenament­i. Poi il calciatore si era già visto al Catania».

L’acquisto di cui va più fiero, togliendo gli argentini?

«Masiello. Penso di averlo difeso quando tutti preferivan­o insultarlo. Avevamo speso 2,5 milioni per la comproprie­tà, la seconda parte gratis per la squalifica. Lui ha pagato la sua pena. Poi dico Cigarini, trattativa complicata con De Laurentiis. Loro, nella fase di partenza del progetto, sono stati fondamenta­li».

I Percassi parlavano di Europa sin dal 2010...

«Ho un solo rimpianto. Le sei vittorie consecutiv­e, siamo in zona Europa League, arriva il Sassuolo, fino a quel momento nei bassifondi. Lo stadio era pieno di striscioni inneggiant­i la Coppa Uefa, perdemmo 2-0. Se avessimo vinto quella gara probabilme­nte ci saremmo andati».

Com’è stato il rapporto con gli allenatori?

«Idilliaco. Con Colantuono ho lavorato 4 stagioni, con Reja — un amico — le altre. D’altro canto avevamo già raggiunto un record: cinque anni consecutiv­i in A». Capitolo Champions: non è presuntuos­o andare a giocare così a Manchester?

«No. La differenza l’hanno fatta i campioni. Sterling, Aguero. L’Atalanta ha costruito la sua favola su questo tipo di atteggiame­nto. Sul gioco non è stata inferiore».

Crede nel passaggio del turno?

«All’Atalanta non piacciono le imprese comode. La qualificaz­ione in Champions sul filo di lana è lì a testimonia­rlo, dopo l’eliminazio­ne con il Copenaghen. Deve crederci».

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Il direttore dell’area tecnica dell’Udinese Pierpaolo Marino ai tempi dell’Atalanta
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65 anni, ha cominciato la carriera dirigenzia­le all’Avellino. Poi il passaggio al Napoli di Maradona. Ha lavorato anche a Roma, Pescara e Bergamo. Oggi è direttore dell’area tecnica dell’Udinese dove era già stato anni fa
Esperto Pierpaolo Marino, 65 anni, ha cominciato la carriera dirigenzia­le all’Avellino. Poi il passaggio al Napoli di Maradona. Ha lavorato anche a Roma, Pescara e Bergamo. Oggi è direttore dell’area tecnica dell’Udinese dove era già stato anni fa

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