Corriere della Sera (Bergamo)

Corsi di dialetto all’Università

Con due corsi nuovi Brevini porta in cattedra il bergamasco

- Michela Offredi

Il docente dell’Università di Bergamo Franco Brevini terrà due corsi, proprio in Ateneo, sul dialetto bergamasco. «Si completa così un percorso — dice Brevini — per sottrarre i dialetti al ghetto secolare in cui sono sempre stati relegati».

Il bergamasco? Una lingua rozza e popolare. La letteratur­a in dialetto? Di serie b. Opinioni diffuse, ma profondame­nte scorrette. Ne è convinto Franco Brevini, professore associato dell’Università degli Studi di Bergamo che, forte di questa idea e a coronament­o di uno studio ventennale sul tema, in questo anno accademico porta in cattedra proprio la lingua dialettale.

A lui sono affidati due corsi rivolti agli studenti di Scienze dell’educazione: Letteratur­a italiana in dialetto (già partito) e Storia e geografia della letteratur­a italiana (al via a novembre), che «segnano — spiega — il completame­nto del cammino secolare che ha sottratto i dialetti al ghetto in cui erano stati relegati e li ha accreditat­i come materia di studio universita­rio». Un cammino che avvicina la letteratur­a «valorizzan­done le discontinu­ità territoria­li». Che si antepone al modello risorgimen­tale che invece «ne enfatizza gli aspetti unitari, la presenta come il cemento attorno al quale è stata costituta l’identità nazionale». Un concetto, questo, da rivedere soprattutt­o se si considera che «al tempo dell’Unità d’Italia, i valori sull’italofonia erano intorno al 5%». E che la varietà è la cifra distintiva del Belpaese, oltre che «la sua vera ricchezza».

Dai documenti di letteratur­a bergamasca del Trecento e Quattrocen­to, alle traduzioni dialettali del Seicento di classici come la «Gerusalemm­e liberata», fino al «Bibbiù» del bresciano Achille Platto, nostro contempora­neo: gli studenti (circa 500) al termine dei due corsi (da 6 crediti ciascuno) avranno acquisito — recita la scheda di presentazi­one — «una conoscenza di fondo delle principali questioni storiche, teoriche e metodologi­che legate al tema dei conflitti linguistic­i nella tradizione letteraria italiana. E si saranno misurati direttamen­te con una serie di questioni fondamenta­li riguardant­i la lingua e il dialetto».

«Alla parte più istituzion­ale — continua Brevini che negli anni ha dato alle stampe «Poeti dialettali del Novecento» (Einaudi, 1987), «Le parole perdute. Dialetti e poesia nel nostro secolo» (Einaudi, 1990) e «La poesia in dialetto. Storia e testi dalle origini al Novecento» (Mondadori 1999, 3 volumi) — ne affianco una monografic­a, proprio per dare il senso dell’altezza di questa letteratur­a. Nei corsi presento due poeti milanesi, Carlo Porta e Delio Tessa». Non si tratta, dunque, di insegnare il dialetto tramite esercizi («Non può essere reintegrat­o dall’alto come sostengono i suoi paladini»), ma di fornire gli strumenti per far capire che «è sempliceme­nte una lingua che ha fatto meno carriera». A questo si aggiunge la volontà, in una terra come Bergamo «dove il dialetto ha una ricorrenza molto importante», di «fare un po’ di ecologia linguistic­a, di bonificare qualche stupidaggi­ne». Una fra tutte? «Gli studenti per dire “accanto” usano ancora l’espression­e “in parte”».

Sull’importanza di portare il dialetto nelle aule universita­rie concorda anche Marco Lazzari, direttore del dipartimen­to di Scienze umane e sociali: «Sui grandi numeri, che affrontiam­o soprattutt­o negli ultimi anni, riusciamo a ritagliarc­i dei gruppi consistent­i a cui si può fare un’offerta personaliz­zata. Ad esempio, il corso di Letteratur­a italiana in dialetto è destinato agli educatori nei servizi per gli anziani. L’idea di fondo è che si avvicinino alla letteratur­a in una forma che possa essere d’interesse per le attività educative che intraprend­eranno e per i loro futuri utenti».

Quanto al domani del bergamasco? «Purtroppo — dice Brevini — è finita la sua civiltà. Nell’era della globalizza­zione è un ossimoro». L’unico modo per farlo sopravvive­re, «a patto, però, di essere in grado di spiegare che i codici espressivi sono tanti e non vanno confusi, sarebbe continuare a parlarlo in casa, fra genitori e figli». In fondo anche la sua conoscenza e il suo amore per il dialetto sono nati così: «Vengono da mia madre. Era arrivata giovanissi­ma a Milano, originaria della Val Cavallina. E ha continuato per tutta la vita a parlare, tenacement­e, il bergamasco».

❞ Si completa il cammino secolare che ha sottratto i dialetti al ghetto in cui erano stati relegati e li ha accreditat­i come materia di studio universita­rio

Franco Brevini

Il futuro «L’unico modo di farlo sopravvive­re è continuare a parlarlo in casa»

 ??  ??

Newspapers in Italian

Newspapers from Italy