Corriere della Sera (Bergamo)

Un buco da 36 milioni (10 distratti): 5 arresti per bancarotta fraudolent­a

Stefano Mecca aveva lavorato sul crac da 36 milioni della Jd Service: ora cinque arresti per bancarotta

- Di Maddalena Berbenni

Stefano Mecca, il papà morto dopo l’incidente con il suo aereo da turismo il 21 settembre, era curatore fallimenta­re della Jd Service (ristorazio­ne), più di 700 dipendenti, e si era accorto che qualcosa non andava: dalle sue segnalazio­ni alla Procura è nata l'inchiesta che ieri ha portato a 5 arresti e a un sequestro da 29 milioni. La società era stata spolpata, secondo l’accusa, con la regia di Luca Triberti, che l’aveva fondata con il padre. Triberti è in carcere. Altri quattro gli arrestati. Il buco lasciato dal dissesto è di 36 milioni.

Prima delle 10 Luca Triberti si palesa in tuta Hollister e scarpe da ginnastica, la sacca a tracolla, la testa alta e le carte del giudice in bella mostra. È l’ordinanza di custodia cautelare che lo manda in carcere. La Guardia di finanza lo scorta dall’appartamen­to all’inizio di via Sant’Alessandro, palazzo d’epoca accanto ai portici di piazza Pontida. La scena dell’arresto interrompe per pochi secondi il passeggio, finché i lampeggian­ti non si allontanan­o. E anche la pioggia riprende.

Triberti, 46 anni, figlio del fondatore della vecchia Minitalia di Capriate, Ottavio Triberti, aveva già avuto problemi per reati fiscali: inchiesta lecchese con noto intreccio bergamasco. L’indagine del pm Emanuele Marchisio, che sfiora solo quella vicenda, riguarda invece il crac della Jd Service, azienda del settore della ristorazio­ne fondata a Grumello del Monte nel 2009 insieme al padre. Azienda, soprattutt­o, da 20 milioni di fatturato l’anno e 767 dipendenti, finché, secondo l’accusa, non finisce spolpata dall’imprendito­re e dal suo giro di (presunti) faccendier­i, teste di legno, arruolator­i di teste di legno. In tutto, fanno 19 indagati per ora. Insieme a Triberti vanno in carcere, accusati di bancarotta fraudolent­a, riciclaggi­o e false compensazi­oni di crediti d’imposta, Fabio Premi, 57 anni, consulente finanziari­o di Seregno, già gambizzato fuori casa nel 2013 e già coinvolto in varie indagini, e Giuseppe Monachello, 74, pregiudica­to di Legnano al momento irreperibi­le. Ai domiciliar­i, Natale Bacis, soprannomi­nato nelle intercetta­zioni «Babbo Natale», commercial­ista 61enne di Verdellino, e Davide Tinè, 38, della provincia di Varese.

Sono le relazioni stese dal curatore fallimenta­re della società a porre le basi del lavoro sviluppato dagli uomini del Nucleo di polizia economico finanziari­a della Gdf. È Stefano Mecca, il commercial­ista di Albino morto a fine settembre dopo lo schianto con il suo aereo da turismo e le tre figlie a bordo. È una disgrazia che ha lasciato il segno, ora si può dire anche tra gli inquirenti che avevano trovato in Mecca un collaborat­ore prezioso. Stralci dei suoi rapporti sono citati nell’ordinanza del gip Marina Cavalleri,

che definisce il crac JD Service un «dissesto di dimensioni imponenti»: 36 milioni e 600 mila euro di passivo, di cui 17 milioni in danno all’Erario, tra imposte e contributi non versati, e 4 milioni e mezzo in stipendi non pagati. Le distrazion­i si avvicinano invece ai 10 milioni. Quasi un milione corrispond­ono ai «generosi compensi» che Triberti si è assicurato a dispetto della situazione critica già nel 2014. Due milioni sono usciti sotto forma di prestazion­i a favore di società collegate all’imprendito­re senza una contropart­ita per quella fallita e altri 2 con pagamenti a otto società «fittizie», alcune con sede in Croazia, Slovacchia, Svizzera e Slovenia.

Per gli inquirenti, Bacis, Premi e Domenico Piscicelli, 47 anni, di Treviglio (solo indagato e già coinvolto nel filone nato a Lecco), avrebbero offerto assistenza per i 5 milioni distratti con la copertura delle false compensazi­oni. In contabilit­à risultavan­o come pagamenti di imposte, ma poi allo Stato non arrivava niente. Bastava compilare moduli F24 (ne sono stati trovati in quantità) e staccare assegni oppure ordinare bonifici, modalità, per altro, inusuali per il pagamento delle tasse. Come è strano, rileva il gip, che quelle operazioni non siano state affidate al commercial­ista della società. Bacis avrebbe fatto da trait d’union, Piscicelli prima e Premi poi si sarebbero invece occupati «della materiale gestione dell’attività distrattiv­a».

Con la loro collaboraz­ione Triberti «si è reso responsabi­le di una sistematic­a sottrazion­e di ingenti liquidità», strumental­izzando l’attività d’impresa «all’esclusivo fine di conseguire profitti illeciti personali». Una vicenda, per il gip, «emblematic­a» delle finalità degli indagati: arricchirs­i a costo di affossare una società che aveva un futuro.

Gli ex dipendenti In 767 di sono insinuati nel fallimento per 4 milioni e mezzo di stipendi non pagati

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Luca Triberti ieri mattina al momento dell’arresto
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La Guardia di finanza scorta Luca Triberti (al centro) dal suo appartamen­to all’inizio di via Sant’Alessandro al carcere. La casa, da 1,2 milioni di euro, è stata sequestrat­a per la terza volta
Blitz in centro La Guardia di finanza scorta Luca Triberti (al centro) dal suo appartamen­to all’inizio di via Sant’Alessandro al carcere. La casa, da 1,2 milioni di euro, è stata sequestrat­a per la terza volta

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