«Voglio la verità su mio fratello Chi sa parli, in valle c’è omertà»
Un anno fa Mattia fu trovato morto in un bosco. Una tragedia con tanti misteri
«Vogliamo la verità sulla LECCO morte di Mattia. Siamo convinti che non si sia trattato di una semplice caduta accidentale. Del resto il fatto che in procura a Sondrio sia ancora aperto un fascicolo con l’ipotesi di reato di omicidio dimostra la fondatezza dei nostri dubbi. Pensiamo che possa essergli stato fatto del male e che qualcuno sappia molto più di quanto detto agli inquirenti. Chi sa parli». Un appello accorato, pur con la compostezza che fin dal primo momento ha caratterizzato i famigliari di Mattia Mingarelli, il trentenne comasco scomparso il 7 dicembre dello scorso anno durante una breve vacanza a Chiesa in Valmalenco, nella frazione Barchi, e ritrovato cadavere la vigilia di Natale in un bosco nella ski area dell’alpe Palù. Morto per una serie di fratture al cranio, compatibili con una caduta nel tratto scosceso a ridosso delle piste da sci, ma con modalità che ancora sembrano lasciare molti dubbi.
A parlare è la sorella Elisa. «Gli inquirenti non hanno lasciato nulla di intentato e le indagini non si sono mai fermate — spiega —. Ma anche se il fascicolo dovesse essere chiuso, noi continueremo a cercare la verità. Mattia non aveva motivo per trovarsi nel bosco quella notte, senza telefonino, una torcia e l’attrezzatura adatta. Senza il suo cane Dante da cui non si separava mai». Il cadavere era stato rinvenuto da alcuni escursionisti a 1.800 metri di quota, un punto più volte battuto durante le ricerche che per tre settimane avevano impegnato decine di uomini. Era salito nella baita il giorno prima della scomparsa. A vederlo per ultimo era stato il gestore di un rifugio della zona con cui aveva preso un aperitivo, poi di lui si era persa ogni traccia. Lo stesso gestore, che aveva rinvenuto il telefono cellulare, era stato sentito a lungo dagli inquirenti. «Gli esiti degli esami tossicologici confermano che mio fratello aveva bevuto un paio di bicchieri di vino quella sera, ma non tali da fargli perdere la lucidità — continua Elisa —. Non aveva motivo per avventurarsi nel bosco e ci sembra poco credibile che nessuno lo abbia visto. Siamo tornati spesso nell’ultimo anno ai
Barchi proprio per parlare con la gente del posto, per cercare quello che ancora resta celato. Abbiamo anche nominato un secondo perito. Sappiamo che si attendono ancora i risultati di alcuni esami su una traccia ematica rilevata nel rifugio dove Mattia è stato visto l’ultima volta».
«Stiamo aspettando gli ultimi risultati chiesti al raggruppamento carabinieri investigazioni scientifiche a settembre», conferma la procura di Sondrio. Un anno dopo il mistero della morte di Mattia Mingarelli non è ancora sciolto. «Mio fratello non c’è più, ma vive grazie alle iniziative promosse per realizzare i suoi sogni. La onlus “La Vigna di Mattia”, ha visto tante adesioni. Abbiamo piantato trecento viti a Noto, nascerà uno spumante con il suo nome».