IL GORI SOLITARIO NEL PD A FORMA DI SARDINA
La solitudine spesso può essere il prezzo della libertà. Giorgio Gori dice di sentirsi molto più libero, oggi, superato l’esame elettorale di maggio e senza il peso di dover amministrare pensando a una rielezione. Ma è anche una figura vincente di centrosinistra — e in questo momento non ce ne sono molte, in Italia — che si trova a fare i conti con una famiglia politica in via di costante sbriciolamento. Cose dette e fatte nelle ultime settimane lasciano intendere come il sindaco di Bergamo abbia preso una strada oggi poco affollata nel Pd. C’è stata la lettera al Corriere per sostenere la necessità di una riforma elettorale in senso maggioritario, con doppio turno (mentre il Pd e l’alleato, se si può chiamare così Matteo Renzi, riflettono su varianti del proporzionale). Ci sono le parole nei saluti prenatalizi con la stampa locale. Pur ricordando che Nicola Zingaretti gli ha riconosciuto un ruolo come presidente del forum nazionale dei sindaci, Gori non ha risparmiato critiche pesanti al segretario del Pd: «Sentirgli definire Giuseppe Conte un riferimento per tutti i progressisti mi ha provocato un certo spaesamento». Questo prima di definire «deludente» l’evento delle Sardine in città, sottolineando come l’iniziale spontaneità del movimento oggi sembri già un ricordo.
Mentre, da Zingaretti in giù, un’ampia area del Pd sta lisciando il pelo di un fenomeno che mediaticamente funziona — almeno fino alle prossime elezioni regionali in Emilia Romagna —, Gori ha imboccato con decisione la direzione opposta. Il sindaco probabilmente non ha più l’età anagrafica né politica (molti altri sessantenni visti sul Sentierone invece sembrano aver rimesso l’eskimo mentale con grande disinvoltura) per affidare speranze di rilancio del centrosinistra italiano a chi chiede un generico cambio di toni della politica ma evita con accuratezza i temi economici che decidono dell’umore del Paese reale. E la stessa debole fiducia si percepisce quando si parla del futuro del Partito democratico. D’altra parte Gori a Bologna, in un’assemblea nazionale che si era occupata di statuto e si era fatta notare per il rilancio del tema ius soli, era stato tra i pochi a mostrarsi molto perplesso dalla direzione imboccata. Per il sindaco e per quelli come lui, è troppo poca l’attenzione oggi, nella comunicazione se non nella pratica politica del Pd, rispetto ai temi della crescita economica, della ricerca di una via diversa dal grillismo di sinistra. Chi rappresenta la parte di Paese che sente la necessità di recuperare diritti erosi da dinamiche della globalizzazione, ma anche di immaginare un futuro in cui si invertano le tendenze, quella dell’emigrazione di migliaia di laureati l’anno e dell’ingresso di immigrati destinati al lavoro sottopagati, quando non all’emarginazione. Chi ne parla più, nel principale partito della sinistra italiana? Ma Gori, e come lui molti altri, sono in questo momento un po’ imprigionati nel Pd, per ragioni di forza maggiore. La nascita di Italia Viva sembrava il capolavoro del tempismo politico di Renzi, si è in poche settimane — per cause esterne ma non meno influenti sul consenso — trasformata in una traversata nel deserto. Con l’ex premier occupato a definire soglie di sbarramento sufficientemente basse per evitare una prossima catastrofe elettorale, difficile che chi è rimasto finora nel Pd scelga questo momento per entrare in Italia Viva. Per il resto, è il deserto. Chi come Carlo Calenda, cui Gori si è sempre detto molto vicino per idee, ha provato a mettersi in mare aperto da solo si è ritrovato su una scialuppa molto piccola ed esposta ai venti. Uscire dal Partito democratico in questa fase non ha molto senso, eppure è molto complicato immaginare che Gori possa interpretare un ruolo di primo piano all’interno, magari in un prossimo congresso. Anche perché molto dipenderà dalla tenuta della maggioranza giallo-rossa. Se il governo dovesse cadere, non ci sarebbe tempo per le primarie e altre amenità, riducendo probabilmente ancor più gli spazi per le voci critiche all’interno del Pd. Aumentando, in sostanza, la solitudine di figure come quella di Gori. Un paradosso, se si pensa che invece a Bergamo il sindaco è stato in grado di compattare realtà molto eterogenee, intorno al progetto di governo della città. E, anzi, è probabilmente il Pd a sentirsi un po’ solo, immaginando che tra quattro anni dovrà voltare pagina e cercare nuovi nomi con i quali proseguire il lavoro a Palazzo Frizzoni.