La Calvenzano dell’Ottocento tra il Garibaldi e la Brebemi
I bimbi che gridano «l’occhio di bue, l’occhio di bue!» riportano alla mente gli entusiasmi delle sale cinematografiche, alla «Nuovo Cinema Paradiso». All’auditorium di Calvenzano sono i minuti, concitati, che precedono il «chi è di scena?» della commedia: «I contadini coraggiosi di Calvenzano». Un regalo per i 132 anni (compiuti il 18 dicembre) della gloriosa cooperativa agricola, tuttora in attività e registrata alla Camera di Commercio di Bergamo con il numero 1, da parte dell’autore della pièce, Beppe Facchetti che ha assistito in oltre un anno alla messa in scena della sua creatura. Un’avventura cominciata a marzo, la bellezza negli ultimi due mesi di tre prove alla settimana, sotto la direzione di Luciano Moriggi, calvenzanese doc e laurea al Dams. «Mi raccomando, via gli orologi e i telefonini», ammonisce gli attori, tra cui il sindaco di Calvenzano, Fabio Ferla ( foto) che, con orgoglio, sventola gli accessori del personaggio. In un paese che si divide in «muslonc» e «muscorcc», (musi lunghi e musi corti) i primi tristanzuoli baciapile e i secondi laici rossi, un po’ alla don Camillo e Peppone, il sindaco veste i panni di don Carlo Tibaldini. «Ho perfino trovato questo libro di preghiere di metà Ottocento, scritto da Alfonso Maria de’ Liguori», annuncia trionfante, sventolando il tricorno sacerdotale. Pronto a spiegare che, insomma, sì la cooperativa era stata una gran bella cosa, ma lui, nelle vesti di don Carlo, la vedeva come «sovversiva». Diciamo pure che don Carlo non aveva una grande visione del progresso, cosa che invece, per un misterioso dono di preveggenza è appannaggio di un altro personaggio della commedia, il Garibaldi che riesce a vedere nel futuro. E qui si innesta l’essenza del copione di Facchetti, cioè la capacità, attraverso le preveggenze dello strambo Garibaldi, di effettuare dei richiami all’attualità. Il Garibaldi nel 1886 «vede» già la Brebemi che risolve il problema di andare a Milano o a Brescia non per sentieri in un giorno, come vorrebbe il parroco. Sa che sarà la Tav a risolvere il problema di andare a Parigi mentre è più incerto sulla realizzazione della Bergamo- Treviglio. Altri richiami alla cooperazione, al senso dell’impegno cattolico in politica si colgono nel racconto che si avvale dei pertinenti cammei musicali di Luciano Ravasio. Il menestrello accompagna con la sua chitarra le immagini d’epoca che, come un diorama, avvolgono le pareti dell’auditorium. Nella trama, poi, spunta il nonno dell’autore; stesso suo nome — Beppe Facchetti —, di professione maestro, interpretato non ancora ventenne da Admir Cupi, ragazzino albanese. Una storia di riscatto, quella della Cooperativa di Calvenzano, che resta unica in Italia. Perché racimolare 140 mila lire, per comprarsi un terreno fu, per i poveri contadini bergamaschi, un’impresa epica, resa possibile dalle banche milanesi con il supporto del sostegno politico del mondo laico meneghino. «Eravamo soli, ora siamo soci — conclude il primo presidente Andrea Zoglio — che vuol dire stare insieme e se c’è solidarietà tutto sarà meno pesante».