Stile inglese a Rogoredo
Le pecore hanno brucato tranquille fino a poche settimane fa. Al primo freddo il pastore le ha portate via e non torneranno fino a primavera. Vederle in mezzo alla grande radura sarebbe stato suggestivo e avrebbe confermato quel pensiero comune, che il parco Porto di Mare abbia l’aspetto della campagna inglese. Non in tutti i tratti, sia chiaro, solo nei punti in cui il profilo della città scompare completamente e in primo piano rimane la natura. Una natura molto diversa da quella degli altri grandi giardini urbani milanesi: meno poetica, mancano le piante ornamentali e gli arbusti fioriti, ma è la sua forza, la sua bellezza. Il paesaggio è selvatico, piccoli stagni e lande, qualche macchia di bosco e lievi salite. Molto british. Fino agli anni 50, la terra qui intorno era coltivata, poi l’agricoltura è arretrata (è rimasta nel parco agricolo sud, poco più in là) e il verde ha preso il sopravvento. La crescita è stata rapida, accelerata dalla presenza dell’acqua, la falda è alta e sul terreno umido hanno germinato, in modo spontaneo, pioppi e salici.
Il pioppeto è proprio all’inizio del parco, una lunga distesa di tronchi chiari, vicini ma non allineati, un bosco spoglio ma di fascino, dove ogni tanto si avventurano le lepri rincorse dalle volpi. «Quando gli alberi sono coperti di foglie l’effetto è quello di una barriera verde compatta, ora che il bosco è nudo è paradospunto salmente più visibile», sottolinea Gianluca Vargiu, uno degli agronomi di Italia Nostra, l’ente che da due anni si sta occupando della riqualificazione del parco, a lungo abbandonato.
Si cammina su un sentiero di ghiaia e il paesaggio cambia di continuo. Al centro del parco c’è una zona ribassata, verdissima, e più a est è dove invece affiora l’acqua, creando degli stagni. «Fra i progetti futuri c’è la creazione di passerelle di legno, faciliterebbero l’attraversamento e diventerebbero un punto di osservazione privilegiato della zona umida, dove è stato avvistato anche il cavaliere d’Italia, uccello acquatico dalle lunghe zampe rosa» (nei lavori futuri rientra anche la pulizia degli altri due laghetti a ovest e le piantumazioni per isolare la parte terminale del parco, che confina con capannoni e insediamenti industriali). Un altro pioppeto e poi di colpo la salita, attraverso una boscaglia. Le piante sono ancora giovani e tutte di specie comuni: aceri campestri e americani, olmi, bagolari, ailanti. L’agronomo è pronto a difenderle. E così rivela: «Piante pioniere, capaci di prosperare anche in un terreno non favorevole, qui sotto ci sono macerie, le colline sono ex discariche». Siamo nel più alto del parco (dove è facile imbattersi in patiti della mountain bike che vengono ad allenarsi sul terreno scosceso): ai nostri piedi la grande radura dove nella bella stagione pascolano gli ovini, in seconda fila il profilo di Milano. E ancora una volta, nonostante i grattacieli, l’anima agreste inglese del parco ha il sopravvento.