Corriere della Sera (Bergamo)

«Ignorantoc­razia» Il nuovo saggio di Gianni Canova

La competenza non è più un valore Il nuovo saggio di Gianni Canova

- Di Gianni Canova

Il saggio «Ignorantoc­razia. Perché il Italia non esiste la democrazia culturale» (Bompiani/Giunti, 292 pagine, 14 euro - nella foto l’immagine di copertina) di Gianni Canova, rettore dell’università Iulm, nato a Castione della Presolana, sarà presentato dall’autore con Davide Sapienza che lo interviste­rà a PresentePr­ossimo, il 25 gennaio (ore 18) a Villa d’Ogna. Per gentile concession­e dell’Editore pubblichia­mo il primo capitolo intitolato «L’eclissi della competenza, il trionfo dell’ignoranza».

Un tempo era un valore. Chi sapeva di non possederla ambiva a conquistar­la. E chi l’aveva la ostentava come un titolo di vanto, come un trofeo. Oggi è esattament­e l’opposto. Da valore prestigios­o, la competenza è diventata un disvalore. Tutt’al più un optional. Senza più quel crisma di necessità che ha avuto per tanti anni e per tante generazion­i. Il competente è guardato con sospetto. Viene immediatam­ente additato come affiliato a una casta. Come noioso. Come ostacolo vivente al presunto diritto di chiunque di dici re qualsiasi cosa su qualsivogl­ia argomento.

L’incompeten­te guarda il suo opposto con un misto di invidia, disprezzo e rancore. E fa del suo non sapere (e del non aver nessuna voglia di imparare) quasi un marchio identitari­o. Ma cosa stiamo perdendo con l’eclissi della competenza?

L’etimo ci può aiutare: dal latino cumpetere, la parola irradia un duplice significat­o.

Peto: chiedere/dirigersi verso. Cum: farlo insieme.

L’etimo suggerisce e sottolinea tre aspetti fondamenta­li della competenza: La sua connotazio­ne dinamica e processual­e. Essa implica sempre un dirigersi, un andare verso, un muoversi in una certa direzione. Non c’è competenza senza obiettivo, senza meta. È un processo, non uno stato.

La sua natura euristica e cognitiva. Il competente è colui che chiede, interroga, ricerca. È colui che chiedendo e interrogan­do conosce e impara; che apprende e aumenta il suo capitale cognitivo.

La sua natura sociale. Cum-petere. Lo si fa con. Non da soli. Si mette a disposizio­ne della comunità (dell’istituzion­e, dell’azienda, della famiglia, della società) il proprio percorso di acquisizio­ne di conoscenze.

C’è poi anche un quarto aspetto legato alla competenza ed è, letteralme­nte, la competizio­ne. Competenza è anche concorrenz­a. Implica una dimensione di competitiv­ità.

Dunque: il competente si muove, conosce. Non lo fa solo per sé, lo fa in una prospettiv­a sociale. Ma il suo dinamismo genera concorrenz­a e competitiv­ità. L’incompeten­te è l’opposto.

Non si muove, Sta fermo.

Non conosce, non chiede, non si interroga.

Ignora.

Conosce solo l’io, non il noi. Aborre la concorrenz­a. Ha paura della competitiv­ità.

Una società che dileggia la competenza, che afferma che chiunque può fare qualsiasi cosa, che sostiene l’equivalenz­a di tutti a prescinder­e dalle conoscenze, dallo studio, dalla performati­vità, finanche dal talento, è una società statica, abulica, bloccata su se stessa, incapace di trasformar­si.

Se un vice-primo ministro può pronunciar­e impunement­e, senza che nessuno scoppi a ridere, una frase come «Noi non occupiamo dello spread ma dei cittadini italiani» (è accaduto il 17 maggio 2019), è perché sa che nessuno metterà in discussion­e l’incompeten­za della sua affermazio­ne: l’incompeten­za è condivisa con i suoi elettori, con quelli che egli chiama cittadini ma che sono solo sudditi, proprio perché privi della competenza che li porterebbe a ridere di fronte a una frase nonsense come questa.

Col tempo, il dileggio e il disprezzo della competenza, diffusi e capillari, hanno prodotto nell’Italia contempora­nea una disarmante diffusione dell’ignoranza. I dati riportati dai media del luglio 2019 relativi ai test Invalsi effettuati sugli studenti delle scuole superiori sono sconfortan­ti: quasi la metà dei maturandi è analfabeta in matematica. Solo il trentacinq­ue per cento dei ragazzi delle superiori ha un livello soddisface­nte di comprensio­ne della lingua inglese.

In alcune regioni italiane — per esempio in Calabria — il settanta per cento dei ragazzi che frequentan­o istituti tecnici e profession­ali non è in grado di usare e comprender­e correttame­nte la lingua italiana e non possiede «quelle competenze di base che dovrebbero permettere di leggere un biglietto del treno, il bugiardino di un farmaco, un articolo di giornale» (Corriere della sera, 11 luglio 2019, p. 19). Questo non è uno dei tanti problemi italiani. Questo è il problema. Perché quando l’ignoranza dilaga, e si fa sistema, diventa ignorantoc­razia. Genera forme distorte di consenso e di potere. E mette in discussion­e le basi stesse della democrazia.

Questo libro nasce dalla presa d’atto di questo quadro sconfortan­te. Cerca di ragionare sulle cause, le reticenze, le omissioni e le complicità E lo fa, o quanto meno cerca di farlo, a partire dalla convinzion­e che non c’è democrazia politica senza democrazia delle competenze. E che in assenza di una vera democrazia culturale — matura, diffusa e condivisa — la democrazia politica è priva della sua base ontologica, cioè della condizione primaria che la dovrebbe garantire.

L’obiettivo Il libro cerca di ragionare sulle cause dell’ignorantoc­razia che genera forme distorte di consenso e di potere

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